Astronautica

SABRE Engine: dal Silbervogel allo Skylon, la ricerca per i velivoli SSTO

In precedenza abbiamo osservato come la SpaceX, spinta dall’obiettivo di colonizzare Marte, stia riuscendo a conseguire lanci con razzi riutilizzabili, in grado di rientrare ed eseguire atterraggi controllati. Abbiamo visto che ciò permette di diminuire il costo di ogni lancio spaziale, il che permette di rendere lo spazio (ed il mercato spaziale) abbordabile a sempre più enti. Sempre in quest’ottica si sta muovendo anche la Blue Origin, società fondata da Jeff Bezos, fondatore di Amazon..Dopo i successi nell’atterraggio controllato del “New Shepard“, un piccolo razzo in grado di lanciare in volo suborbitale una capsula pressurizzata, ha recentemente annunciato i piani per il razzo “New Glenn“, che si porterà in diretta competizione con il Falcon Heavy.

Confronto fra vari vettori, tra cui il Falcon9, il Falcon Heavy, il Delta IV Heavy, il New Gleen ed il Saturn V
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Nonostante ciò sorge spontanea la domanda: E’ questo l’unico modo che abbiamo per vincere il campo gravitazionale e giungere in un’orbita stabile?
La risposta è No. Fin’ora abbiamo quasi sempre visto razzi, cioè dei velivoli dotati di stadi separabili spinti dai gas di combustione espulsi ad alta velocità, di cui andava perso tutto il velivolo eccetto il paylod fino all’avvento dei razzi riutilizzabili .
Fin dalla fine degli anni 60, la R&D di varie agenzie statunitensi ha cercato di sviluppare spazioplani, cioè navicelle in grado di rientrare a terra e planare verso la superficie come qualsiasi aeromobile, dunque dotate di superfici di controllo in grado di generare portanza. Il primo di questi progetti è l’X-20 Dyna-Soar della Boing, un piccolo velivolo di circa 10 metri di lunghezza, dotato di ali a delta, che montato sulla cima di un razzo balistico intercontinentale, sarebbe stato in grado di giungere l’orbita. Ispirato dal Silbervogel un progetto di bombardiere intercontinentale mai realizzato della Germania nazista.

Modellino del Silbervogel in una galleria del vento.
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Il Dyna-Soar sarebbe stato un velivolo multiruolo in grado di eseguire missioni di vario genere, dal bombardamento suborbitale al sabotaggio di satelliti nemici, al recupero di satelliti in orbita. La particolarità di questo velivolo è che attraverso la portanza sviluppata dalle ali, avrebbe potuto “rimbalzare” fra gli strati superiori dell’atmosfera, ampliando la gittata della sua traiettoria per il rientro, come avrebbe dovuto fare il Silbervogel, tecnica di rientro conosciuta anche come “Skip Reentry” (letteralmente “rientro a balzi”).

Rendering artistico del Dyna Soar al decollo sul vettore Titan
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Il progetto per il Dyna-Soar fu cancellato poco prima che venne finito di assemblare il primo prototipo, concentrando le forze sul programma Gemini, in vista del programma Apollo.

Il concetto di spazioplano fu successivamente ripreso negli anni ’70 per lo Space Shuttle (e la controparte sovietica Buran), ed ampliamente utilizzato (lo Space Shuttle conta 135 lanci totali!).
Sia lo Space Shuttle che il Buran erano comunque velivoli dotati di stadi di supporto, come i booster ed il serbatoio di carburante esterno.
Anche se i booster dello Space Shuttle venivano recuperati, dovevano comunque essere riparati per poter essere riusati per successive missioni.
Dunque anche questi velivoli seguivano la logica del razzo a stadi, anche se dotati di una diversa configurazione della struttura.

Bisognerà aspettare gli anni ’90 per vedere il progetto di uno spazioplano che esula dalla logica del razzo a stadi, cioè una navicella unica che non perde hardware durante il suo uso, e dunque a “stadio unico”. Una navicella di questo genere viene chiama “Single Stage To Orbit” (SSTO).
L’ X-33/Venture Star fu un progetto della Lockeed Martin, diviso in due fasi. La prima fase sullo sviluppo di un prototipo in scala 1:3 denominato X-33 e la fase finale con la realizzazione della navicella definitiva, il Venture Star.

da sinistra a destra:
X-33, Venture Star e Space Shuttle a confronto
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Questo velivolo era progettato per decollare con la fusoliera in verticale, come qualsiasi razzo o Space Shuttle ed arrivare autonomamente in orbita. Dotato di propulsori “Aerospike” anziché normali propulsori con ugello a campana, frutto dello studio di ugelli che fossero in grado di operare ottimamente a tutte le altitudini, al contrario dei normali ugelli a campana che hanno alta efficienza a basse pressioni (nello spazio) e bassa efficienza nella bassa atmosfera, sviluppati dalla Rocketdyne.

Aerospike lineare sviluppato per l’X-33/Venture Star
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Gli Aerospike sono in grado di avere un risparmio di carburante alle basse altitudini, la dove la presenza di pressione atmosfera esterna si oppone all’uscita dei gas esausti dalla camera di combustione, diminuendone la velocità di espulsione e quindi la forza propulsiva del motore.
Questo è possibile grazie alla particolare geometria dell’ugello, che segue la stessa curvatura del profilo di un ugello a campana, su cui vengono fatti scivolare i gas esausti e compressi dalla stessa pressione atmosferica grazie all’Effetto Coanda, permettendo dunque di ottenere tali risultati.

Confronto fra ugello Aerospike ed “a campana”
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Inoltre gli ugelli Aerospike possono essere costruiti in una configurazione lineare, adattandoli meglio al profilo di un aeromobile.
Nonostante ciò anche il programma di sviluppo dell’X-33/Venture Star è stato cancellato nel 2001 a causa di problemi tecnici dovuti alla difficoltà di realizzare alcune parti, come dei particolari contenitori di carburante in materiale composito, cosa che fece slittare di anni la data di ultimazione del primo prototipo di X-33, finché l’SDIO (Strategic Defense Initiative Organization) non decise di tagliare i fondi alla Lockeed Martin, che di conseguenza decise che fosse improponibile continuare il progetto senza i fondi del governo.

Dunque L’X-33/Venture Star si proponeva come un particolare razzo monostadio a forma di aereomobile, dotato di superfici di controllo.
In tal senso anche i motori, gli Aerospike, sono propulsori a ciclo chiuso, dove combustibile e comburente sono contenuti in serbatoi interni al velivolo. Il velivolo non scambia massa in entrata con l’ambiente, solo massa in uscita, a differenza dei propulsori dei normali aerei (detti appunto a ciclo aperto) in cui c’è massa d’aria entrante che contiene il comburente usato per la combustione, ed infine espulsa insieme ad i gas esausti verso l’esterno grazie all’energia rilasciata dalla reazione, producendo una spinta utile.
Applicare il concetto del compressore a ciclo aperto dei normali propulsori a turbogetto degli aerei con il motore a razzo è un’idea interessante, dato che permetterebbe al velivolo di portare solo l’ossidante necessario per le operazioni fuori dall’atmosfera, e quindi sfruttare l’ossigeno atmosferico per spingere il razzo alla velocità che gli permetterebbe di giungere facilmente in orbita.

Studiando questa possibilità, sono stati progettati dei propulsori detti SABREâ„¢ (Synergetic Air-Breathing Rocket Engine), “un motore a reazione preraffreddato ipersonico ibrido esoreattore endoreattore”. La particolarità di questo progetto è nella parola “preraffreddato”.
Quando il propulsore è in modalità “ciclo aperto” (esoreattore), si comporta come un propulsore scramjet.

SABRE Engine
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Un propulsore scramjet è un esoreattore ipersonico in grado di operare dal regime supersonico.  In parole povere è un motore che brucia combustibile ed ossigeno atmosferico che è in grado di funzionare efficientemente quando il velivolo si trova già a regime supersonico. All’interno è senza parti in movimento, senza compressore, motivo per cui per poterlo usare c’è bisogno che l’aria entri nel motore ad una velocitàsupersonica.  L’aria che entra mantiene un regime supersonico e viene compressa grazie alla geometria del condotto, l’ossigeno presente brucia il combustibile, l’energia emessa dalla combustione espande i gas espulsi, aumentandone la velocità, e quindi esercitando una spinta.

Scramjet
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Il problema principale degli scramjet, è proprio il surriscaldamento, a causa delle elevate velocità. Questi propulsori permettono al velivolo di raggiungere teoricamente velocità incredibilmente elevate, anche superiori a Mach 15 (circa 5km/s!!), velocità per cui l’attrito con l’aria surriscalda il velivolo, l’aria che impatta su di esso e quindi anche l’aria che entra nel propulsore, arrivando nel reattore a temperature molto elevate ancor prima che venga liberata energia dalla combustione.

Per ovviare a questo problema, il team R&D della Reaction Engine Limited al lavoro sul SABREâ„¢ sta lavorando ad una parte fondamentale: il dispositivo di preraffreddamento.


L’idrogeno, usato come combustibile, viene tenuto nei serbatoi sotto forma di liquido, dunque a bassissime temperature. Sempre da liquido viene incanalato in una serie di griglie disposte in dei cilindri di diverso diametro posti fra la camera di reazione e la presa d’aria.
L’aria, che entra nel motore a circa 1000°C viene così raffreddata in un centesimo di secondo fino a -150°C, permettendo così di non surriscaldare il motore. Essenzialmente la chiave per il funzionamento del SABRE è nel corretto funzionamento di questa parte fondamentale.
Questo sistema inoltre permette di riscaldare “gratuitamente” l’idrogeno prima che giunga nella camera di combustione, facendolo giungere alla camera di reazione sotto pressione. E’ una tecnica ampliamente usata nei normali motori a razzo facendo scorrere l’idrogeno in dei tubi posti nell’ugello affinché giunga sotto pressione alla camera di combustione (eredità del vecchio progetto Silbervogel), detta “raffreddamento rigenerativo“.
Quando il propulsore passa in modalità “ciclo chiuso” (endoreattore), l’ossidante viene incanalato dai serbatoi verso i propulsori, entrando in combustione con l’idrogeno e funzionando come qualsiasi altro motore a reazione.
Attraverso questo progetto si sfrutterebbe l’atmosfera stessa per giungere alla velocità tangenziale necessaria per giungere in LEO (Low Earth Orbit), riducendo la massa di carburante da trasportare e quindi aumentando la capacità di carico.
Il velivolo che dovrebbe sfruttare questa tecnologia si chiama Skylon, uno spazioplano di ben 83 metri di lunghezza! Più grande dello Space Shuttle, dovrebbe essere in grado di portare in LEO una massa di circa 20 tonnellate.

Rendering dello Skylon
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Come dovrebbe essere composto lo Skylon
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La Reaction Engines Limited ha annunciato  il 4 Maggio  sul suo sito che ha cominciato la costruzione della “UK rocket engine test facility”, una struttura per i eseguire i futuri test della tecnologia SABRE, e sempre sul loro annuncio dichiarano che i primi test ad alte temperature dovrebbero avvenire nel 2018, e prevede che i  motori SABRE entreranno operativi per il 2020.
La nuova  struttura è situata presso il Weastcott Venture Park.

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