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A tutto plasma! – Parte II

In questa seconda parte tratteremo delle altre tipologie di propulsori al plasma, quelle più usate, più studiate e forse le più ambiziose.

Hall Effect Thrusters (HET)

HET
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Gli HET, o Propulsori ad Effetto Hall, sono una delle prime tipologie di propulsori ad essere stati sviluppati a partire dagli anni ’60 sia nella ex Unione Sovietica e sia negli USA.
I sovietici ne produssero due varianti, gli SPT (Stationary Plasma Thrusters) e TAL (Thruster with Anode Layer, “Propulsore con strato anodico”) e usarono gli SPT come comoda soluzione per stabilizzare i satelliti nel loro orientamento fin dagli inizi degli anni 70. Il primo di questi fu uno dei satelliti Meteor lanciato nel Dicembre 1971.

Gli (HET) sono composti da una struttura principale di forma cilindrica composta da colonne disposte in cerchio ed unite alla base da un disco ed alla sommità da un anello, e da una colonna centrale. Questa struttura è realizzata con un materiale ferromagnetico con lo scopo di formare un campo magnetico radiale (B) fra la sommità della colonna centrale e l’anello alla sommità delle colonne. Il campo magnetico è generato dagli elettromagneti avvolti sulle colonne, alimentati in modo tale da presentare polarità opposte fra la colonna centrale e l’anello posto in sommità delle colonne. L’anodo, posizionato sul fondo chiuso del propulsore, è formato da una piastra forata a forma di anello da cui proviene il gas precedentemente ionizzato positivamente (generalmente Xenon). Il catodo (sorgente di elettroni) è esterno al propulsore ed ha la forma di un piccolo cilindro.

spaccato di un HET
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Una volta creato il campo magnetico radiale (B), il catodo spara elettroni verso il campo. Gli elettroni arrivano al campo magnetico prima degli ioni del plasma, avendo molta meno massa rispetto a questi. Quando arrivano al campo magnetico hanno una velocità (v) perpendicolare alla direzione del campo magnetico radiale (B). L’interazione con il campo magnetico genera una forza (F) descritta come forza di Lorentz: F=q(vxB) dove q è la carica elettrica dell’elettrone, ed il prodotto vxB è il prodotto vettoriale. La forza di Lorentz devia gli elettroni su una nuova traiettoria di forma circolare intrappolata nel campo magnetico. Essendo una traiettoria chiusa a forma di anello è come se fosse una corrente elettrica che ha una densità di carica elettrica (J).

schema che mostra l’interazione fra i campi presenti nell’HET.
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Il gas precedentemente ionizzato positivamente viene attratto dal campo elettrico prodotto dalla carica elettrica sospesa nel campo magnetico, e viene accelerato a velocità nell’ordine dei 10-80km/s esercitando una spinta contraria alla direzione del gas espulso. Siccome il gas attraversa la nube di elettroni (J) riacquisisce la neutralità della carica elettrica. Questo permette anche al gas di non “tornare indietro” (cosa svantaggiosa che ridurrebbe la spinta esercitata dal propulsore).
Spinta tipica: 10-80 mN
Isp tipico: 1000 – 8000 s
Potenza tipica: 1kW – 100 kW
Efficienza: 70-80%

Apparentemente potremmo confonderli con dei propulsori ionici. La differenza consiste, come accennato nella Parte I, nel fatto che nei propulsori ionici il meccanismo di accelerazione è elettrostatico invece che elettrodinamico. Infatti a differenza dell’HET, nei propulsori ionici è presente una griglia forata che ha la funzione di catodo (l’elettrodo negativo), mentre nell’HET il catodo è formato dall’anello di elettroni.

Magneticplasmadynamic Thrusters (MPDT)

Impulso di plasma di un MPD

I propulsori MPD, Propulsori Magnetoplasmadinamici nascono dalla Magnetoidrodinamica (MagnetoHydroDynamic, MHD), ramo della fisica che studia l’interazione fra campi magnetici e fluidi conduttivi come l’acqua e nel nostro caso il plasma da cui Magnetoplasmadinamica. Come per gli HET, i primi studi cominciarono nella seconda metà del ‘900, inizialmente da parte di URSS e USA ma successivamente anche Germania, Giappone, Italia, e non furono sperimentati nello spazio prima del 1996, quando l’Agenzia Spaziale Giapponese (ora JAXA) lanciò l’SFU (Space Flyer Unit), dotato di un propulsore elettrico sfruttante questa tecnologia oltre ai tanti strumenti. Ciò permise di studiare il comportamento del propulsore nel proprio ambiente di lavoro e ricavarne dati utili per continuarne lo sviluppo.L’SFU fu recuperato dalla 72° missione dello Space Shuttle e riportato a terra.

SFU recuperato dallo Space Shuttle
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Nel 2018 l’agenzia spaziale privata SITAEL lancerà un suo satellite sviluppato in collaborazione con l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) grazie al vettore LauncherOne della Virgin Orbit, compagnia spaziale facente parte del gruppo Virgin di cui fa parte anche la Virgin Galactic famosa per i primi voli suborbitali turistici con la Spaceship One.
Il satellite, chiamato μHETsat sarà una dimostrazione tecnica dei progressi compiuti nella progettazione di propulsori MPD più efficienti.

Schema di un MPD
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La struttura consiste in un due elettrodi concentrici, generalmente una colonna centrale all’interno di un ugello a forma di campana.
Immesso il gas dal retro del propulsore viene generata una tensione elevata nell’ordine dei kV fra i due elettrodi. Ciò genera delle scariche elettriche fra gli elettrodi che attraversano il gas ionizzandolo e rendendolo un plasma. Queste scariche elettriche sono descritte da una densità di corrente dislocata radialmente (J) e generano un campo magnetico (B) perpendicolare alla direzione delle scariche, che essendo discolate radialmente, fanno assumere al campo magnetico (B) una forma circolare.
Ciò genera una forza di Lorentz proporzionale a F = JxB diretta (come suggerisce anche il prodotto vettoriale) nella direzione di uscita dell’ugello. Questa forza interessa sia gli ioni che gli elettroni, e li accelera fino a velocità di 15-60 km/s , ottenendo spinta.
Spinta tipica: 2,5-25 N
Isp tipico: 2000 s
Potenza tipica: 100kW – 500 kW
Efficienza: 40-60%

Come per gli HET, i propulsori MPD funzionano attraverso l’interazione elettromagnetica del plasma con i campi elettromagnetici del propulsore, generando una Forza di Lorentz che accelera il plasma fuori dal propulsore a velocità elevatissime, producendo spinta (nella Parte I la spiegazione di come funzioni tale meccanismo di azione-reazione).

Il VASIMR

VASMIR
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Il VAriable Specific Impulse Magnetoplasma Rocket (VASIMR) è un propulsore al plasma in sviluppo dalla Ad Astra Rocket che si differenzia dai precedenti elencati nel produrre ed accelerare il plasma. Usa delle antenne a radiofrequenza chiamate “helicon“, che riscaldano il gas ionizzandolo e rendendolo plasma fino ad una temperatura di 1 milione di gradi kelvin.
Potenti magneti superconduttori confinano il plasma in modo tale che non possa venire a contatto con le pareti della camera di quarzo in cui si trova. Il plasma segue il campo magnetico verso la zona con potenziale minore, che coincide con l’ugello del propulsore, venendo espulso ad elevate velocità.

VASMIR
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Uno dei vantaggi di questo sistema propulsivo consiste nel non avere degli elettrodi da far interagire con il plasma che potrebbero usurarsi con l’uso.
Un altro vantaggio di questo sistema propulsivo consiste nell’avere un Isp variabile (per la definizione di questo termine riportiamo alla Parte I), e che quindi può dipende dalla potenza fornita al propulsore.
Spinta tipica: 5 N
Isp tipico: 5000 s
Potenza tipica: 200kW
Efficienza: 70%

Come si può notare, tutte queste tipologie di propulsori elettrici non forniscono una spinta intensa ma una frazione della spinta che forniscono i propulsori chimici.
Così come per i propulsori ionici, i propulsori al plasma devono operare ininterrottamente per ore o giorni per fornire un ΔV considerevole al mezzo su cui sono montati. Ad esempio un’astronave che voglia andare dalla LEO (Low Earth Orbit) alla Luna dovrà accendere i motori e sostenere una spinta per abbastanza tempo da farle ottenere una variazione di velocità (ΔV) di circa 2500 m/s.
Siccome l’Isp dei propulsori al plasma è molto più grande rispetto ai tradizionali propulsori chimici c’è bisogno di minor propellente per fornire la spinta e di conseguenza ottenere un ΔV elevato.
Esiste un’equazione che descrive la relazione fra ΔV, Isp ed il rapporto fra la massa finale (mf) e la massa iniziale dell’astronave (mi) definite rispettivamente come la massa del mezzo a serbatoi vuoti e la massa del mezzo a serbatoi pieni. E’ chiamata Equazione di Ciolkovskij (o Tsiolkovsky).

Il simbolo “ln” indica un logaritmo, indice del fatto che non si tratta di una relazione lineare. Questo è dato dal fatto che l’accelerazione (a) fornita dalla spinta (F), è definita come a = F/m(t) dal II principio della dinamica. La massa del razzo diminuisce nel tempo (m(t)) a causa del propellente che viene espulso, provocando l’aumento di accelerazione a parità di spinta. In seguito indichiamo come è possibile attraverso il calcolo infinitesimale ricavare questa relazione.

Come ricavare l’Equazione di Ciolkovskij

Il VASIMR dovrà essere in grado di operare ininterrottamente per giorni od addirittura settimane per fornire ΔV elevati.
Perciò è previsto che il propulsore sarà sottoposto ad un test, (indicativamente nell’estate del 2018) in cui dovrà operare per più di 100 ore ininterrottamente alimentato da 100kW all’interno di una camera a vuoto che simula l’ambiente spaziale per cui è stato progettato il propulsore.
Ad Agosto si è passati a test della durata ininterrotta di 10 minuti, fin’ora è sempre stato testato per non più di 30 secondi a test. Nel video un’accensione in camera a vuoto per qualche secondo.


Quindi in conclusione si può osservare quanto il limite di spinta erogata da questi sistemi dipenda dal limite di energia che la nave è in grado di erogare al propulsore, e quindi di produrre energia. Teoricamente, più potenza fornita dai generatori di bordo implica più spinta.

Nella Parte III vedremo progetti più futuristici, come propulsori che sfruttano la fusione nucleare per accelerare il plasma.

In Copertina: MPT Pulse
Fonte Tecnica

Link:
PARTE I
PARTE III

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