Astronomia

Un telescopio fatto in casa

Ospitiamo il contributo di Dante Bissiri, utente della nostra community, che ci racconta la sua esperienza nella costruzione di un telescopio fatto in casa.

Era il 1978 quando decisi di costruire il mio telescopio home-made, di cui ho disegnato e costruito la parte meccanica e quella ottica.
Nel 1978 mi trovavo a San Gallo (St. Gallen, nella Svizzera Nord orientale) dove c’era una bella Associazione di Sternfreunde (Amici delle Stelle). Decidemmo di fabbricare un telescopio (uno ciascuno), cominciando dallo specchio. Io ne avevo costruito già uno, nel 1958, anno geofisico internazionale: diametro 25 cm, f/5. Ma in quella occasione lo specchio l’aveva fatto Virgilio Marcon (era il suo specchio numero 650!).

Nel 1978, invece, ci volli provare io, sicuro che non ci sarei riuscito: mi sembrava una cosa di difficoltà trascendentale! E pensavo: costruire la montatura va bene. Ma la ottica, come fare? Solo più tardi avrei capito che la montatura è molto più difficile da fare rispetto all’ottica!
Comunque provai a cimentarmi, e risultò abbastanza facile. Ebbi la fortuna di trovare l’edizione originale in francese del famoso “Texereau”, che ricevetti in regalo. Più tardi me ne avrebbero regalato anche una in spagnolo, che faceva un bel tris con quella inglese, ampliata nel frattempo dagli americani.

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La galassia Centaurus A immortalata da Dante col suo telescopio home-made.

Il primo passo era quello di disporre di un buon vetro, le cui caratteristiche fondamentali devono essere:

  •  basso coefficiente di dilatazione (perché altrimenti si deformerebbe con le variazioni di temperatura);
  •  assenza di tensioni (perché queste si liberano da sole col passare del tempo, deformando la superficie ottica, arrivando perfino a far rompere lo specchio).

Al momento di realizzare la lucidatura (polishing) e il figuring bisogna disporre anche di una buona pece. In Helvetia era facile trovarla!

Un lavoro entusiasmante, molto istruttivo e ricco di soddisfazioni, anche se il nostro istruttore (un pasticciere, con laurea ad honorem in astronomia) lo chiamava “die Schule der Geduld” (la scuola della pazienza). Dato che per fare quel lavoro ci riunivamo una volta alla settimana, non ebbi la pazienza di aspettare, e continuai il lavoro a casa mia, terminandolo abbastanza presto.
A posteriori, vi posso assicurare che uno specchio da 6” si può fare in pochi giorni, forse addirittura in un week-end!

Raggiunta la curvatura sferica (che si controlla con l’apparecchio di Foucault), bisognava cominciare la parabolizzazione. Io il Foucault non ce l’avevo, ma ne improvvisai uno adattando un tornietto che avevo in casa. Dopo vari tentativi e un’oretta di lavoro, la parabolizzazione sembrava irraggiungibile! In realtà, si può fare in tre minuti, ma evidentemente qualcosa non andava.

Così aumentai la pressione, e lo specchio divenne all’improvviso iperbolico! In illo tempore, tornare dall’iperbole verso la parabola era una missione impossibile (per me!), così che persi non meno di 50 ore nei tentativi. Alla fine ci riuscii. Lo specchio rimase leggermente iperbolico, ma notevolmente preciso (λ/12) ampiamente nei limiti di tolleranza della parabola (quelli commerciali non superano spesso la precisione di λ/4).

Questo “difetto” si sarebbe rivelato poi un vantaggio, dato che nella configurazione Cassegrain sarebbe risultato un Ritchey-Chretien!
Dopo 50 ore di lavoro, vi lascio immaginare la perfezione della lucidatura: questa è importante, perché quando è scarsa, produce scattering.

Per inciso aggiungo e sottolineo anche l’importanza di una buona parabola: uno specchio, per esempio, con una precisione di λ/4, è molto più sensibile alla turbolenza di uno λ/12!
Avevo la fortuna di stare vicino a Balzers (Principato del Liechtenstein), dove esiste un’industria d’avanguardia dal nome omonimo, specializzata nella realizzazione di strati metallici sottili. Fecero un lavoro impeccabile, alluminizzando lo specchio e dotandolo di con uno strato protettivo quasi impossibile da rimuovere.

Trasferitomi subito dopo in Argentina (lavoravo alle dipendenze della Farnesina) cominciai a costruire la montatura, e pensai che sarebbe stato meglio, anziché limitarmi ad un Newton, fare un Newton-Cassegrain. A tal fine decisi di bucare lo specchio, facendo un foro di soli 29 mm per non causare troppa diffrazione. Fu un errore, perché la diffrazione sarebbe stata generata in ogni caso dal secondario, e avrebbe causato vignettatura nella fotografia. Così bucai lo specchio una seconda volta, portando il foro a 40 mm. Se avesse avuto tensioni, infatti, lo specchio si sarebbe rotto già dal primo tentativo, ma resistette, e la curva rimase perfetta. E dato che sono maniaco della perfezione, per sostenerlo nella sua cella mi venne l’idea di fare un solco a sezione triangolare sul bordo, per sostenerlo con tre viti, senza invadere la superficie ottica. Purtroppo per questo lavoro dovetti rivolgermi a un tecnico del locale osservatorio, che fece un disastro, danneggiando l’alluminizzato e graffiandolo. Così decisi di rimuoverlo, cosa per fare la quale dovetti chiedere istruzioni a Balzers, perché non riuscivo a farlo.

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Il newton-cassegrain-coudé di 6″ di Dante.

Per la montatura, non trovando un tubo adatto, me ne feci fare uno di latta, ma risultò troppo pesante e freddo, ed inoltre avrebbe generato turbolenza, cosi che lo usai per fare una colonna, e decisi di fare il telescopio di legno (compensato fenolico di cedro per uso nautico).

Frequentando il laboratorio di ottica del locale osservatorio, constatai che, per il controllo degli specchi col metodo di Foucault, erano soliti fare tutto a mano, con riga, squadra e calcolatrice, ciò che richiedeva almeno un’ora di tempo, e con risultati non troppo precisi. E pensai: questo è un tipico lavoro che si dovrebbe fare col computer! Io di programmazione non sapevo un bel niente, ma avevo uno “spectrum” (uno di quei computerini che sembravano quasi dei giocattoli, con una memoria di appena 48 Kb) che aveva il grande vantaggio (a differenza del Commodore) di avere le istruzioni sui singoli tasti, e ci provai. Anche in questa occasione, convinto che non ci sarei riuscito!

Ma dopo qualche ora, il programma cominciava a prendere forma, e una volta concluso occupava appena 13 Kb nonostante avesse, oltre alle tabelle con numeri con decimali a piacere, anche dei grafici, e desse la precisione dello specchio in termini di lunghezza d’onda, sia sul vetro che sul fronte d’onda. Poi, con l’aiuto di mio figlio Elio (e che altro nome avrei potuto dargli?!), lo traducemmo in codice Quick-Basic, aggiungendo suoni e immagini ed acquistando velocità. Superfluo dire che il programma serve non solo per controllare specchi in fase di fabbricazione (sferici, ellittici, parabolici e iperbolici), ma anche per controllare quelli dell’industria, che hanno a volte difetti da far rizzare i capelli.

E a mo’ di ciliegina sulla torta, stando in Argentina, un posto dove è molto comune avere una casa con un terreno enorme, piscina etc.) ho potuto finalmente realizzare il sogno di avere un osservatorio personale. Si tratta di un lavoro di 36 anni fa, che ha resistito fino a poco fa all’inclemenza del tempo, ma che ora avrebbe purtroppo bisogno di troppe cure. Non so se ne valga la pena, perché le stelle, da qui, quasi non si vedono più!

Per ulteriori informazioni, vi invito a visitare la mia modestissima web-page, che trovate qui. Da molti anni non ho più potuto aggiornarla, anche se mi propongo sempre di farlo. Ma non riesco a trovare il tempo, perché non ho mai lavorato tanto in vita mia come dopo essermi pensionato: pensateci bene, quindi, prima andarvene in pensione!

Dante Bissiri

Un pensiero su “Un telescopio fatto in casa

  • Alberto Clivio

    Storia fantastica di passione e dedizione, di competenza e curiosità e perseveranza intrinseca! Come ottenere risultati eccezionali facendo ricorso alle proprie capacità. Non riesco a smettere di leggere!

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