Astronomia

Un nuovo sguardo sulla Carena

Usando l’osservatorio Gemini South, un gruppo internazionale di astronomi ha ottenuto delle immagini della Nebulosa della Carena con un livello di dettaglio mai raggiunto prima, molto simile a quello che potrà ottenere il James Webb Space Telescope. Il trucco sta nei dettagli: le osservazioni sono state effettuate con l’ottica adattiva. Tutti i dettagli su ApJ Letters.

A causa della sua posizione nel cielo australe, pochi di noi hanno potuto ammirare l’incredibile bellezza della Nebulosa della Carena: una regione di formazione stellare molto grande – circa il doppio in diametro della ben più nota Nebulosa D’Orione – che si trova a oltre 7mila anni luce di distanza nella costellazione della Carena.

Adesso, un team di ricercatori ha utilizzato tutta la potenza del telescopio da otto metri Gemini South per ottenere dettagli mai ottenuti prima sul bordo della Carena, nella regione nota come Western Wall (Muro occidentale). Per farlo hanno utilizzato l’ottica adattiva, un insieme di tecnologie che permettono di compensare gli effetti della turbolenza atmosferica. In questo modo, i risultati che si ottengono possono non avere molto da invidiare a quelli ottenuti con i telescopi spaziali come Hubble Space Telescope o il James Webb Space Telescope.

Un confronto della regione immortalata dal telescopio Gemini South con (sopra) e senza (sotto) l’utilizzo di ottiche adattive. Crediti: International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA

Le nebulose come la Carena sono piene di polvere ed è perciò in molti casi vano ogni tentativo di osservarne la struttura interna alle frequenze visibili. Il discorso cambia se passiamo agli infrarossi che possono attraversare gli strati di polvere. Per questa ragione il team guidato da Patrick Hartigan della Rice University ha utilizzato una camera che lavora proprio nell’infrarosso per osservare la Nebulosa della Carena e rivelarne i dettagli della struttura di polveri e gas.

Ciò che ne è emerso è sorprendente: una lunga serie di creste parallele che potrebbero essere state prodotte da un campo magnetico, un’onda sinusoidale quasi perfettamente liscia e forse un getto di materiale appena espulso da una stella neonata.

Il telescopio Gemini South visto dall’interno. Crediti: International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA

Lo studio di queste regioni è fondamentale, perché fornisce moltissimi dettagli sulle modalità con cui le stelle – Sole incluso – nascono e influenzano l’ambiente che le circonda. Oltre alle stelle, è proprio da quella polvere e da quei gas che in seconda battuta si formano i pianeti: studiarle significa quindi anche scoprire qualcosa su di noi e sull’ambiente in cui si è formata la Terra.

Articolo pubblicato il 6 ottobre 2020 su Media Inaf

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