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La scoperta del pianeta (nano) Cerere, da Piazzi a Dawn

Da Giuseppe Piazzi alla missione spaziale Dawn della NASA passando per la legge di Titius-Bode: ecco le tappe che hanno portato alla scoperta del pianeta nano Cerere.

Tra il quarto e il quinto pianeta, Marte e Giove, c’era il vuoto, troppo vuoto per Keplero, che non si rassegnava all’idea che il “Geometra Divino” avesse lasciato tutto quello spazio a separare i due pianeti. Newton imputava quel vuoto alla Provvidenza: Dio aveva fatto in modo che il pianeta Terra fosse al sicuro dagli sconvolgimenti gravitazionali che i giganti Giove e Saturno avrebbero potuto causare. Altri astronomi si lanciarono in altre ipotesi: come quella che tale spazio vuoto fosse un tempo stato colmato da un pianeta, ora distrutto a causa dell’impatto di una cometa o dall’azione dei pianeti giganti.

La legge di Titius-Bode

L’idea che dovesse esserci un altro corpo tra Marte e Giove era nata agli inizi del ‘700: David Gregory, astronomo professore all’Università di Oxford, si rese conto che i raggi delle orbite dei sei pianeti allora noti erano proporzionali ai numeri 4, 7, 10, 15, 52 e 95. Numeri che lasciavano un grande spazio tra il 15 (Marte) e il 52 (Giove), ma che di per loro potevano non significare molto. Anni dopo un altro astronomo, Johann Daniel Tietz, anche noto come Titius, cambiando il 15 in 16 e il 95 in 100 si rese conto che la sequenza era formulabile più sistematicamente come il numero 4 sommato al numero 3 raddoppiato per ogni termine successivo: 4, 4+3, 4+6, 4+12, 4+48, 4+96. Questi numeri, moltiplicati per 10 danno il valore – in Unità Astronomiche e generosamente approssimato – dei raggi delle orbite dei pianeti allora noti. Per Titius, e anche per l’astronomo Johann Bode che riprese e pubblicò questa tesi rendendola celebre, era assurdo che il Creatore avesse lasciato vacante il posto 4+24 della sequenza: doveva esserci un altro pianeta ancora da scoprire.

PianetaDistanza teorica
(Titius-Bode)
Distanza reale
Mercurio0,4 UA0,39 UA
Venere0,7 UA0,72 UA
Terra1,0 UA1,00 UA
Marte1,6 UA1,52 UA
Giove5,2 UA5,20 UA
Saturno10,0 UA9,54 UA
Urano19,6 UA19,2 UA
Nettuno38,8 UA30,1 UA

Quella che passò alla storia come legge di Titius-Bode oggi viene considerata poco più che una curiosità numerologica priva di giustificazioni teoriche, che peraltro fallisce nel prevedere la posizione dell’orbita di Nettuno, ma godette di grande fama soprattutto quando William Herschel, nel 1781, scoprì Urano. Urano era il termine 4+192 successivo a Saturno nella legge di Titius-Bode. Il vuoto tra Marte e Giove diventava a quel punto ancora più fastidioso.

La scoperta di Giuseppe Piazzi

Franz Xaver von Zach, l’astronomo di corte di Gotha, in Germania divenne allora un acceso sostenitore della presenza del pianeta tra Marte e Giove, così convinto da organizzare nell’anno 1800 una vera e propria caccia planetaria. 24 astronomi da tutta Europa avrebbero dovuto collaborare, spartendosi le costellazioni dello Zodiaco per stanare il pianeta.

Ma prima che potessero mettersi seriamente all’opera, arrivò Giuseppe Piazzi. Piazzi, direttore dell’osservatorio astronomico di Palermo, era in realtà uno dei 24 cui Zach voleva affidare una porzione di cielo, ma prima ancora di sapere qualcosa a riguardo, mentre compilava un nuovo catalogo stellare, scoprì qualcosa che avrebbe dato requie a chi cercava il tanto agognato pianeta mancante. Dal 1 gennaio 1801 Piazzi iniziò a seguire il moto di una strana “stella” di ottava magnitudine (poco più di quanto si può vedere a occhio nudo). Il 24 gennaio scrisse a Bode e ad altri grandi astronomi dell’epoca, comunicandogli la scoperta di quella che inizialmente classificò come una cometa.

Il dì primo di gennaio osservai nella spalla del Toro una stella di ottava grandezza la quale nella sera seguente, cioè lì 2 si avanzò di 3’30” circa verso il nord e di 4′ circa verso la sezione di Ariete.Verificai le mie osservazioni lì 3 e 4 e notai lo stesso movimento prossimamente. I giorni 5, 6, 7, 8, 9 il cielo fu coperto. Rividi la stella lì 10 e 11 e poi lì 13, 14, 17, 18, 19, 21, 22, 23. […] Io ho annunziato questa stella come cometa; ma il non essere essa accompagnata da alcuna nebulosità, e più il suo movimento così lento e piuttosto uniforme mi ha fatto più volte cadere nell’ animo che forse possa essere qualche cosa meglio di una cometa. Questa congettura, però mi guardai bene di avanzarla al pubblico. Quando avrò un maggior numero di osservazioni tenterò di calcolarne gli elementi.

Giuseppe Piazzi in una lettera a Barnaba Oriani dell’Osservatorio di Milano

Dopo il 24 gennaio l’oggetto si avvicinò troppo al Sole perché Piazzi potesse proseguire le osservazioni. Con gli strumenti dell’epoca, i dati a disposizione erano un po’ pochi per determinarne l’orbita (gli elementi orbitale che la descrivono) e capire quindi quando e dove il nuovo oggetto sarebbe ricomparso nel cielo. A causa di una malattia, Piazzi fu costretto a passare il testimone a Oriani, Bode e al francese Lalande. Nel frattempo, era comparso sulla scena un nuovo talento matematico, Carl Friedrich Gauss, il quale elaborò un metodo matematico che gli permise di calcolare i parametri che descrivevano l’orbita dell’oggetto, anche utilizzando i soli dati forniti da Piazzi. L’ultima notte dell’anno, nella posizione predetta da Gauss, ricomparve Cerere.

Le osservazioni di Piazzi, pubblicate nel 1801 sul Monatliche Correspondenz. Credits: WikiMedia Commons

La Fascia Principale degli Asteroidi

Cerere, nome scelto da Piazzi in onore alla dea protettrice della Sicilia, si trovava nei pressi della posizione 4+24 della legge di Titius-Bode. Ci fu subito grande eccitazione per la scoperta, tutto sembrava tornare in ordine, c’era un nuovo pianeta che riempiva il posto vacante della successione. Tuttavia, William Herschel si rese conto che il disco del nuovo pianeta non poteva essere scorto nemmeno con il suo grande telescopio, uno dei più potenti dell’epoca. Doveva essere un pianeta piccolo, forse troppo piccolo per essere un pianeta. Lo stesso anno il medico e astrofilo tedesco Heinrich Olbers scoprì un altro oggetto simile, Pallade. Negli anni successivi furono scoperti Giunone e Vesta. La caccia al pianeta mancante aveva portato alla scoperta della Fascia Principale di Asteroidi. Nell’800 furono scoperti i primi 300 asteroidi e oggi sappiamo che ne esistono centinaia di migliaia, forse milioni, a seconda di quale limite inferiore scegliamo per distinguere tra un granello di polvere e un asteroide.

(4) Vesta dalla missione Dawn. Credits: Nasa

Cerere viene identificato come (1) Cerere, con quel numero a ricordare proprio che fu il primo asteroide scoperto nella storia, ma dal 2006 Cerere è anche considerato qualcosa in più rispetto a un comune asteroide. In quell’anno, la stessa decisione dell’Unione Astronomica Internazionale che portò al tanto odiato “declassamento” di Plutone dallo stato di pianeta a quello di pianeta nano, fece salire di grado Cerere, che da asteroide diventava a sua volta pianeta nano, l’unico che si trovi nel Sistema Solare interno.

La svolta di Dawn

Dal 1801 al 2015 Cerere rimase sostanzialmente un corpo sconosciuto. Con i suoi 473 chilometri di diametro, è così piccolo che anche con i più grandi osservatori al mondo, persino con Hubble Space Telescope, è sempre stato poco più di un pugno di pixel. Pochissime informazioni, fatta eccezione per la sua orbita, le dimensioni, la forma e l’albedo, erano a disposizione fino alla scorsa decade. Alcuni indizi su macchie, crateri, punti più riflettenti di altri, sulla composizione media, ma non molto di più. La vera svolta c’è stata nel 2015, con la sonda della Nasa Dawn.

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Cerere immortalato nel 2004 da Hubble Space Telescope. Credits: Esa/Nasa/Hubble

Lanciata nel 2007, Dawn aveva come obiettivi proprio Cerere e l’altro pezzo grosso della Fascia Principale, Vesta. Dopo aver orbitato attorno a Vesta per circa 13 mesi, Dawn si è diretta verso Cerere, dove è arrivata nel marzo 2015. Con la sua camera e i suoi spettrometri e una distanza dalla superficie a tratti inferiore ai 400 km, Dawn ci ha permesso di studiare il pianeta nano con un dettaglio mai raggiunto prima. Lo ha fatto per quasi 3 anni, fino al 2018, quando la sonda ha terminato l’idrazina e quindi la possibilità di continuare a svolgere le sue mansioni. Ora Dawn continua a vagare inerte attorno a Cerere, ma i tantissimi dati che ci ha lasciato hanno permesso di capire veramente molto del pianeta nano.

Le faculae e il criovulcanismo

Da una distanza ravvicinata, Cerere apparve come un mondo desertico ricoperto di crateri. Tra questi, spiccavano alcuni punti più riflettenti del resto della superficie, i cosiddetti bright spot (punti brillanti) o faculae che subito hanno attirato l’attenzione degli studiosi. Alcuni di questi erano stati osservati già nelle immagini di Hubble, ma vederli da vicino ha permesso di mapparli e di comprenderne l’origine. Le faculae più brillanti e famose, Vinalia Facula e Ceralia Facula, si trovano nel grande cratere Occator, ma ce ne sono moltissime altre sparse sulla superficie. Nel tempo sono state formulate molte ipotesi su queste macchie, ma il consenso oggi è che si tratti di sali rilasciati durante la risalita di acqua salata che proviene dalle profondità del pianeta nano, da oltre 40 chilometri al di sotto della superficie. Un fenomeno noto come criovulcanismo che si pensa possa tutt’ora essere attivo su Cerere.

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Vinalia Facula e Ceralia Facula nelle immagini di Dawn. Credits: Nasa

Questo indicherebbe quindi la presenza di acqua liquida salata al di sotto della superficie, qualcosa che è compatibile anche con i valori di densità di Cerere, piuttosto bassi per un corpo planetario come questo. Cerere potrebbe essere composto anche al 30% da acqua, allo stato liquido o all’interno dei minerali. Se risale tramite criovulcanismo, tuttavia, quest’acqua non può essere ghiacciata, il che richiede un meccanismo per evitare la solidificazione. Per Cerere non c’è l’intensa forza di gravità di un pianeta gigante a riscaldare l’interno, come avviene per Europa o Encelado, ma il trucco potrebbe avere origine nella chimica della crosta: questa probabilmente contiene alte quantità di clatrati, dei composti che, essendo dei cattivi conduttori di calore, potrebbero svolgere una funzione di isolante termico, permettendo a Cerere di mantenere calore al suo interno e quindi l’acqua salata allo stato liquido.

Cerere dalle immagini della missione Dawn. Credits: Nasa

Il monte Ahuna

C’è un rilievo unico su Cerere, senz’altro impossibile da riconoscere prima dell’epoca di Dawn. Il monte Ahuna è il più imponente rilievo sul pianeta nano, largo venti chilometri e alto quattro. I suoi versanti sono rigati da strisce brillanti: di nuovo sali legati al criovulcanismo. Ahuna Mons è a tutti gli effetti un criovulcano, il più vicino alla Terra, in cui l’acqua ricca di sali è emersa depositando materiale sulla superficie, ma la sua origine potrebbe essere legata a doppio filo a quella di un impatto meteorico. Sul lato opposto rispetto ad Ahuna, si trova infatti il cratere di Kerwan, il più grande su Cerere. È stato proposto quindi che le onde sismiche generate dall’impatto abbiano attraversato il pianeta nano, fratturandone la superficie agli antipodi e facilitando così la risalita di roccia e acqua salata.

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Il monte Ahuna nelle immagini di Dawn. Credits: Nasa

Un pianeta nano che viene da lontano

Cerere è un protopianeta sopravvissuto: è molto piccolo, molto più di qualunque pianeta del sistema solare, ma aveva le carte in regola per crescere ulteriormente diventando un pianeta vero e proprio. Solo, si deve essere trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sua composizione è diversa da quella degli altri corpi della Fascia Principale: per esempio le analisi spettroscopiche hanno portato a scoprirvi molti minerali ricchi in ammoniaca, ma l’ammoniaca è stabile solamente nel Sistema Solare esterno, dove è molto abbondante. Si pensa quindi che Cerere si sia formato nel sistema solare esterno, probabilmente tra l’orbita di Giove e quella di Saturno, e poi abbia migrato verso l’interno in un secondo momento, forse a causa dell’interazione con Giove.

Altre fonti: Storia dell’Astronomia di Cambridge, Asteroids, Asteroids, NASA Solar System

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