Astronautica

Quando meno te lo aspetti solido

Quando si costruisce un lanciatore si considerano tutti i fenomeni che potrebbero generare stress nella struttura, dunque la si progetta in modo tale che sia in grado di sopportare tali stress.
Questi  possono essere dovuti, ad esempio, alla pressurizzazione dei serbatoi criogenici, allo sforzo prodotto dalla spinta dei motori, al massimo attrito aerodinamico nelle prime fasi di ascesa.
Esistono però dei fenomeni che sono difficili da prevedere, come quello che ha portato all’esplosione del Falcon9 l’1 Settembre 2016, durante lo static fire test, ovvero il test generale in cui si accendono i motori principali tenendo il razzo vincolato alla sua piattaforma di lancio, per verificare che tutti i sistemi funzionino correttamente prima del lancio vero e proprio.

Prima dell’accensione dei motori si osserva una esplosione poco sotto l’interstadio, che innesca una serie di esplosioni che distruggono completamente il razzo ed il suo carico: il satellite Amos-6 della Israel Aerospace Industries, da lanciare in orbita geosincrona.

L’esplosione iniziale è avvenuta nella sommità del serbatoio di ossigeno liquido, una zona inusuale, seppur già nella storia delle esplorazioni spaziali ricordiamo quanto successe con l’Apollo 13, ma in questo caso le dinamiche sono del tutto diverse.

Indagini successive, conclusesi a Gennaio 2017 hanno scoperto che la causa dell’esplosione è dovuta ad una interazione imprevista fra i serbatoi per l’elio in materiale composito e l’ossigeno liquido. Infatti questi serbatoi erano posti all’interno di quello dell’ossigeno liquido. L’elio liquido aveva lo scopo di pressurizzare il serbatoio man man che l’ossigeno veniva consumato dai motori, altrimenti si sarebbe creato il vuoto e le turbopompe che riforniscono i propulsori avrebbero avuto maggior difficoltà a portare l’ossigeno.

Spaccato che mostra in dettaglio un COPV, Fonte

I serbatoi in composito sono realizzati sovrapponendo strati di fibre di carbonio o kevlar impregnati in una matrice resinosa. Ogni strato è orientato in maniera diversa per permettere la massima resistenza del manufatto in tutte le direzioni. Quando un serbatoio è soggetto ad elevate pressioni ed a basse temperature, per garantire l’impermeabilità viene avvolto esternamente ad un serbatoio realizzato con un sottile strato di alluminio, per questo prende il nome di COPV (acronimo per Composite Overwrapped Pressure Vessel). Grazie all’elevata resistenza delle fibre è possibile realizzare serbatoi più leggeri di quelli realizzati totalmente in metallo.

Un COPV sovrapressurizzato. In questa foto è evidente lo strato d’alluminio. Fonte

Mentre il Falcon9 era in attesa di sostenere il test, dell’ossigeno liquido si è infiltrato fra le crepe nella matrice del composito sottoposto a basse temperature, accumulandosi in fase solida creando un rigonfiamento fra il rivestimento in composito e l’alluminio più interno, poiché alle temperature a cui era portato l’elio, l’ossigeno si può solidificare. Non più resistente come prima, il serbatoio di elio è esploso e la frizione avrebbe ignito l’ossigeno superraffreddato, dando inizio alla più violenta esplosione che ha distrutto tutto il lanciatore ed il satellite da trasportare.

Fonte: USLaunchRecord

Questo episodio ha comportato la modifica del modo con cui la SpaceX effettua i suoi static fire test, effettuandoli senza carico.
Questo problema è stato risolto nei lanci successivi raffreddando l’elio a temperature più elevate, affinché non si formi ossigeno solido.

Insieme all’esplosione in volo del 28 Giugno 2015, si tratta degli unici due fallimenti per un Falcon9, su oltre 81 lanci!

In Copertina: Visione Interna del serbatoio d’ossigeno liquido del secondo stadio. Si notano i serbatoi dell’Elio all’estremità della visuale.
Fonte: SpaceX

Articolo uscito su SASA il 17 Febbraio 2020

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