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Il mistero dei Martemoti, i terremoti su Marte

Lo sospettavamo da decenni, ma InSight ci ha dato la risposta: su Marte ci sono terremoti. Non siamo sicuri di cosa li generi, ma di certo ci aiutano a studiare l’interno del pianeta rosso.

Più di 1300: è il numero di terremoti marziani, o martemoti come si inizia a dire, registrati nei quattro anni di missione della sonda InSight. InSight è ormai giunta a fine vita, ma ci lascia in eredità la più grande quantità di risultati a riguardo. In effetti erano decenni che ci chiedevamo se Marte potesse o meno avere terremoti, e dopo un timido tentativo dei lander delle Viking, InSight ci ha fornito la risposta a questa domanda. Con essa è arrivata anche la possibilità di studiare il pianeta rosso fin nelle sue profondità, mantello e nucleo compresi.

I sismometri delle Viking

Nel 1975 la Nasa lanciò le quattro sonde Viking: due lander e due satelliti diretti verso il pianeta rosso per studiarlo ed esplorarlo in lungo e in largo. I due lander Viking 1 e Viking 2, i primi manufatti a toccare con successo la superficie di Marte, sono ammartati nella Chryse Planitia e nella Utopia Planitia nell’estate del 1976. I loro obiettivi primari erano di stampo astrobiologico: hanno analizzato il terreno marziano alla ricerca di tracce di vita passata o presente su Marte. Ma i geofisici hanno saputo farsi valere, facendo inserire dei sismometri tra gli strumenti scientifici delle sonde. Tuttavia, dovettero scendere a compromessi: i sismometri non furono messi direttamente a contatto col terreno e misuravano le vibrazioni trasmesse dalle zampe dei lander. Queste però avevano degli ammortizzatori, il cui obiettivo è proprio la riduzione delle vibrazioni. Insomma, non proprio la situazione ideale per dei sismometri.

Carl Sagan al fianco di una riproduzione dei lander Viking. Credits: Nasa

Cosa registrarono le Viking?

Essendo molto sensibili alle vibrazioni, i sismometri dovevano essere protetti durante le fasi più estreme da questo punto di vista, come il lancio e l’ammartaggio, e c’era quindi un meccanismo di sblocco che li disponeva in modalità operativa solo una volta arrivati sulla superficie di Marte. Il sismometro della Viking 1 non si sbloccò, un guasto tecnico impedì allo strumento di entrare in operatività. A quello della Viking 2 andò meglio. Ma cosa misurò effettivamente? Non è chiaro: il sismometro misurava qualunque vibrazione della sonda, qualunque movimento del suo braccio robotico, addirittura i click del suo registratore a nastro. E soprattutto, anche le più deboli raffiche di vento marziano erano in grado di creare delle vibrazioni apprezzabili e imprevedibili dal sismometro. Nelle ore diurne il flusso d’aria nei pressi del lander era sufficiente per impedire le misure sismiche, tanto che fu utilizzato anche per studiare l’andamento dei venti completando così le informazioni meteorologiche raccolte dalla sonda. Nelle ore notturne invece, l’ambiente diventava più tranquillo e per qualche ora i sismologi erano in grado di raccogliere dati utili. Tuttavia, i dati restavano comunque di scarsa qualità, e le vibrazioni intrinseche della sonda non potevano essere eliminate. Ancora oggi, nonostante i molti tentativi fatti e lo sviluppo di tecniche estremamente avanzate di analisi dei dati, ancora ci si chiede se la Viking 2 sia riuscita a registrare anche un solo tremore proveniente dal suolo marziano.

Arriva InSight

Con questo interrogativo che ancora aleggiava nei corridoi degli istituti di ricerca, nel 2012 la Nasa decise di dare un taglio netto alla questione e selezionò la missione InSight, in cui il sismometro non sarebbe stato un’aggiunta di secondaria importanza come nelle Viking, ma il cuore vibrante della missione. Il lander atterrò su Marte nel novembre 2018. Poco dopo l’ammartaggio, InSight poggiò il suo sismometro, il Seismic Experiment for Interior Structure (Seis), direttamente sul suolo dell’Elysium Planitia. Forti dell’esperienza maturata con il fallimento dei sismometri Viking, Seis è posto sotto una cupola, uno scudo per proteggerlo dai venti e dall’ambiente marziano, e i dati sono raccolti prevalentemente di notte, quando i venti marziani sono meno intensi. A partire da una missione prevista di un anno marziano (quasi due terrestri), la sonda ha raccolto dati per quasi due anni, fino a giungere a fine missione nell’estate 2022. L’attuale estensione della missione dura fino a dicembre 2022, mese in cui si prevede che i pannelli solari, ormai ricoperti di polvere, non saranno più in grado di fornire energia alla sonda.

Illustrazione di Seis sotto la sua cupola. Credits: Nasa

I dati di Seis

Grazie al sismometro di InSight abbiamo avuto la prova definitiva della presenza di Martemoti. E non solo, perché di questi terremoti marziani la sonda ne ha registrati più di 1300. Parliamo anche di terremoti di tutto rispetto, come quello di magnitudo 5 che è stato rilevato il 4 maggio 2022 o quello di magnitudo 4,2 del 25 agosto 2021. In generale sono una cinquantina gli eventi abbastanza chiari e intensi da permettere di determinarne il punto di origine sul pianeta. La maggior parte di questi dati sembrano provenire dalla regione di Cerberus Fossae, un’area a 1600 chilometri da InSight. Nella Cerberus Fossae ci sono una serie di fratture tettoniche e si pensa che possano essersi originate a causa di attività vulcanica recente (negli ultimi due milioni di anni). Generalmente per localizzare il punto di origine di un sisma occorrono almeno tre sismometri per fare la triangolazione, per i dati di InSight si è quindi fatto ampiamente ricorso a dei modelli statistici per cercare di ricostruire la direzione di provenienza a partire dai dati di un solo sismometro.

Credits: Nasa

Alcuni dei segnali sismici ottenuti da InSight potrebbero essere ricondotti anche a impatti meteorici o a forti folate di vento, ma dallo studio delle frequenze delle onde e dalla stima del numero di impatti meteorici, siamo ragionevolmente convinti che una buona parte di quei 1300 siano segnali sismici. Ci sono due tipi principali di segnali registrati da InSight: alcuni a frequenza maggiore, che si originano probabilmente nella crosta, mentre altri sono a bassa frequenza e vengono dal mantello. Sarebbe quindi lo stress tettonico generato dalla recente attività vulcanica a innescare l’insorgenza dei martemoti.

Perché studiare i martemoti?

I terremoti permettono di guardare dentro a un pianeta. I diversi strati di roccia reagiscono in maniera diversa alle onde sismiche, e osservando come si modificano durante la propagazione, è possibile ricostruire la struttura interna del pianeta. Lo abbiamo fatto sulla Terra, lo abbiamo fatto con i lunamoti sulla Luna, e ora lo abbiamo fatto anche su Marte. I ricercatori hanno scoperto per esempio che la crosta marziana è più spessa del previsto, fino ai 72 chilometri, e che è suddivisa in tre livelli principali. La litosfera, lo strato più alto del mantello, è spesso circa 500 chilometri.

La Cerberus Fossae. Credits: Esa

Inoltre, il nucleo è fuso e piuttosto grande, fino a 3600 chilometri di diametro (il pianeta ha un diametro di 6800 chilometri). Questo ci dice una cosa importante: ci permette di calcolare la densità del nucleo, che è minore di quella del ferro e nickel puro caratteristico dei pianeti terrestri. Quindi ci devono essere, mescolati, degli elementi più leggeri del ferro che consentano di abbassarne la densità. In questo modo si abbassa anche il punto di fusione e ciò spiega come faccia il nucleo di Marte a essere ancora liquido nonostante i miliardi di anni di raffreddamento del piccolo pianeta.

Un nucleo così grande significa anche che c’è un’ampia regione del pianeta a cui InSight è sostanzialmente cieco, perché si trova nell’ombra del nucleo. Ed è un peccato perché in quest’area d’ombra c’è anche la regione di Tharsis, molto attiva in passato dal punto di vista vulcanico e quindi una potenziale sorgente di attività tettonica.

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