DPF-Device – La Fusione ad Impulsi!
Introduzione
A settembre vi avevamo parlato di Proto Sphera, un approccio innovativo che riconcepisce i tokamak, le tradizionali camere di reazione, che si propone per raggiungere plasmi molto densi a costi migliaia di volte inferiori rispetto a progetti come ITER. Oggi vediamo un approccio del tutto diverso che mira a portare alle condizioni necessarie alla fusione poca massa per volta, operando a regime impulsivo, estraendo l’energia direttamente dal plasma.
Si chiama Dense Plasma Focus Device (DPF Device), ed è un progetto della LPPFusion. Il dispositivo consiste in due elettrodi cilindrici concentrici. L’elettrodo esterno ha un diametro di circa 16 cm per circa 30 cm di lunghezza. Gli elettrodi sono rinchiusi in una camera a vuoto riempita con un gas a bassa pressione che costituisce i reagenti per la fusione. Affinché si generino più fasci di plasma l’elettrodo esterno è composto da un insieme di più elettrodi.
Generazione ed accelerazione dei filamenti di plasma
Seguiamo i filamenti di plasma per capire come opererà il Dense Plasma Focus Device.
Un impulso elettrico proveniente da un banco di condensatori passa attraverso gli elettrodi, ionizzando il gas e rendendolo un plasma. Questa intensa scarica elettrica della durata nell’ordine di milionesimi di secondo riscalda il gas e crea un intenso campo magnetico (B). Come avevamo visto per i propulsori MHD (MagnetoHydrodinamic Thruster) la scarica elettrica è descritta da una densità di corrente (J) dislocata lungo la direzione radiale del cilindro e genera un campo magnetico (B) circolare che giace sul piano perpendicolare alla direzione della scarica.
Ciò genera una forza di Lorentz proporzionale al prodotto JxB diretta, (come suggerisce anche il prodotto vettoriale) verso la fine dei due elettrodi cilindrici. Così la superficie del plasma trasla verso quella direzione a velocità (supersonica) creando dei fili sottili che si avvolgono in dei vortici.
Il collasso in un plasmoide sferico
Quando la superficie di plasma giunge alla fine dell’elettrodo esterno, passa verso l’elettrodo interno. Il campo magnetico creato dalle correnti elettriche stesse comprime (pinch) e torce il plasma in un’unica sfera di plasma (plasmoide) estremamente densa dallo spessore di centesimi di millimetro senza l’ausilio di magneti esterni. Questa nuova geometria del plasma fa collassare i campi magnetici preesistenti molto velocemente. A causa della legge d’induzione magnetica sorge un campo elettrico che separa gli ioni del plasma dagli elettroni, producendo due fasci opposti. Il fascio di elettroni ad alta velocità riscalda il plasmoide ad una temperatura equivalente ad oltre un miliardo di gradi centigradi, a cui equivale un’energia delle particelle nell’ordine dei 100KeV o superiore. (Quest’energia è già stata ottenuta in un test del 2011 usando un plasma di deuterio).
Normalmente le collisioni fra gli elettroni e gli ioni generebbero dei forti impulsi di raggi X (disperdendo energia) attraverso un fenomeno chiamato Bremsstrahlung. Per la fusione c’è bisogno di minimizzarne la produzione, che altrimenti raffredderebbe il plasma. Per far ciò viene incontro un fenomeno chiamato Quantum Magnetic Field (QMF) Effect. Studiato per la prima volta negli anni 70 per le stelle di neutroni. Tale fenomeno predice che lo scambio di energia fra gli elettroni e gli ioni in presenza di campi magnetici estremamente intensi è ridotto.
La Fusione e la Conversione Diretta in Potenza Elettrica
Grazie alla temperatura raggiunta gli ioni si scontrano fondendosi in reazioni
1p + 11B = 34He + 8,7 MeV
dove quegli 8,7 MeV contribuiscono a riscaldare il plasmoide conferendogli maggiore energia cinetica. Alla fine del processo il fascio di plasma contiene molta più energia di quella contenuta nell’impulso iniziale che ha innescato il processo. A questo punto avviene la conversione diretta: Il fascio viene decelerato, convertendo la sua energia cinetica in energia elettrica, che in parte servirà per alimentare l’impulso successivo. Alcuni dei raggi X prodotti vengono assorbiti tramite un guscio sferico che contiene l’apparato attraverso l’effetto fotoelettrico (come un pannello fotovoltaico).
L’estrema velocità della reazione, nell’ordine di frazioni di milionesimo di secondo, permette di raggiungere energie così elevate a condizioni che altrimenti non sarebbero possibili.
I Pro delle Reazioni Aneutroniche
In generale, la reazione qui proposta è una delle Reazioni Aneutroniche di grande interesse per applicazioni civili. Infatti a differenza della reazione Deuterio – Trizio
2D + 3T = 4He + 3,5 MeV + 14,1 MeV 0n
con cui opereranno tokamak e stellarator, questa non produce neutroni veloci (mentre a 14,1 MeV sono molto veloci), e nonostante possa innescare reazioni fra i suoi reagenti e prodotti che liberano neutroni, si tratta di neutroni lenti, quindi più facili da schermare. Inoltre l’altro grande vantaggio sta proprio nel poter usare direttamente un approccio di conversione diretta, non dovendo usare i neutroni veloci come mediatori. Da qui si capisce il grande interesse, essendo una potenziale fonte di energia pulita. Inoltre sia l’idrogeno che il boro sono elementi abbondati sulla Terra e di facile reperibilità.
I Contro delle Reazioni Aneutroniche
Il grande problema dell’uso della reazioni aneutroniche è che richiedono un’energia di attivazione molto più elevata della reazione Deuterio-Trizio senza comunque poter arrivare alle stesse sezione d’urto e frequenza di reazioni, uno dei motivi per cui per ora è off-limits nelle tipologie di reattori come tokamak e stellarator, che sarebbero costretti ad arrivare a confinare plasma a temperature di gran lunga superiori a 100 milioni di gradi Kelvin. Ad una più bassa sezione d’urto e frequenza di reazioni verrebbe incontro la conversione diretta che garantirebbe una maggior efficienza rispetto al ciclo termodinamico che verrà usato per la reazione deuterio-trizio.
Per questo motivo viene usato un approccio impulsivo di questo genere, (simile ad un approccio inerziale con riscaldamento laser), che però ha lo svantaggio del richiedere anche mezzi più sofisticati per effettuare una diagnostica così veloce in grado di misurare ciò che avviene in una scala temporale ragionevolmente precisa.
Un altro problema è dovuto all’erosione degli elettrodi. Infatti durante le scariche di plasma gli elettrodi raggiungono temperature molto elevate che ne causano l’erosione superficiale. Riuscire a diminuirla permette di avere minori impurità nel plasma, condizione essenziale affinché avvenga la reazione, dato che la loro presenza non permette di portare gli ioni da fondere alle temperature richieste.
Il Dense Plasma Focus Device negli ultimi anni
In questa animazione, come dovrebbero apparire le varie fasi del funzionamento del DPF-Device
La LPP ha indetto anche una campagna di crowfunding per poter continuare lo sviluppo di questa tecnologia.
Ulteriori esperimenti sono finalizzati alla diminuzione dell’erosione degli elettrodi permettendo anche di aumentare la corrente di picco.
In copertina: trattamento con le microonde per rimuovere le impurità dagli elettrodi (processo fondamentale affinché avvenga la fusione)
[EDIT: 31-01-2022]
Fonti
LPPFusion,Theory and experimental program for1p-11B Fusion with the Dense Plasma Focus