Fisica Terrestre

Come funziona l’Atmosfera terrestre?

In questo approfondimento, andiamo a vedere un po’ più da vicino come funziona l’atmosfera terrestre: dalla composizione dell’aria che respiriamo alle aurore boreali, dalla dinamica atmosferica al riscaldamento globale.

Non si può parlare dell’atmosfera terrestre trattandola come un corpo separato dall’ambiente in cui si trova. Quindi, qualora non lo avessimo ben chiaro, iniziamo con una brevissima introduzione sull’orbita terrestre. La Terra orbita attorno al Sole in un’orbita quasi ellittica ad una distanza media di circa 149.6 milioni di km (quantità che viene generalmente indicata come Unità Astronomica ed usata come riferimento per le distanze nel Sistema Solare). La durata di tale orbita è di 365 giorni ed 1/4.

L’eclittica è il piano definito da quest’orbita, e rispetto ad essa l’asse di rotazione terrestre risulta inclinato di circa 23.45°. Quest’inclinazione è la causa primaria delle variazioni stagionali, che giocano un ruolo importante nella dinamica e nella chimica atmosferica. Il Solstizio d’Inverno è il momento dell’orbita terrestre in cui il Polo Nord punta nella direzione più lontana possibile dal Sole, ed è il momento in cui il Sole risulta più in basso nei cieli dell’emisfero nord, come il nostro. Il viceversa è vero nel Solstizio d’Estate. Negli equinozi di primavera ed autunno, i raggi solari viaggiano invece perpendicolarmente all’asse di rotazione terrestre, colpendo verticalmente l’equatore.

Queste variazioni sono importanti dal punto di vista atmosferico, perché alcuni fenomeni sono strettamente dipendenti dai fotoni ricevuti dal Sole. Mediamente, la Terra riceve 5.5 x 1018 (ossia 5.5 seguito da 18 zeri) di fotoni al secondo per metro quadrato.

L’equilibrio idrostatico

Generalmente si assume che le atmosfere siano in equilibrio idrostatico, ossia la forza di gravità che attira le particelle di aria verso il basso è controbilanciata dalla differenza di pressione tra gli strati atmosferici. Ma questo richiede una piccola spiegazione.

I gas tendono ad occupare tutto il volume disponibile, ossia tendono autonomamente ad annullare le eventuali differenze di pressione in un dato volume. Ad esempio se avessimo metà di una stanza piena di gas (che avrà una certa pressione), e metà della stessa stanza senza gas (vuota, ossia con pressione nulla), il gas contenuto nella prima metà tenderà a diffondersi in tutta la stanza, rendendo omogenea la pressione in ogni suo punto. Si dice che era presenta un gradiente di pressione, e la forza che fa sì che il gas si diffonda ed annulli questo gradiente, è detta per l’appunto forza gradiente.

La Terra non ha pareti come una stanza, e questo vuol dire che la forza gradiente spinge l’atmosfera a diffondersi in tutto lo spazio disponibile, ossia a disperdersi nello spazio interplanetario. Interviene allora la forza di gravità a controbilanciare questa tendenza, trattenendo l’atmosfera dalla fuga.

Si raggiunge quindi una situazione di equilibrio, detto appunto idrostatico, in cui la pressione atmosferica è massima sulla superficie, e diminuisce via via che ci si allontana da essa, fino a quando risulta sostanzialmente nulla.

Il momento in cui la pressione si annulla non è però ben definibile, in quanto indicherebbe la completa assenza di particelle atmosferiche terrestri. Si tende allora convenzionalmente ad imporre il limite di 100 km in cui si assume sia contenuta tutta l’atmosfera terrestre. In realtà circa il 99.9 % dell’atmosfera terrestre è contenuta entro i primi 50 km di altitudine.

Conseguenza diretta di questo equilibrio è che la pressione dipende unicamente dall’altitudine, e quindi si ha la possibilità di parlare equivalentemente di altitudine e pressione. Ad esempio, la pressione vale 1013 millibar sul livello del mare, e quindi si può indicare questo livello proprio con questo valore.

La stratificazione atmosferica

L’illustrazione qui sopra mostra l’andamento della temperatura (in basso) e della pressione (a destra) con l’altitudine (a sinistra). La suddivisione in strati dell’atmosfera viene effettuata principalmente in base all’andamento della temperatura. Seguiamo quindi la linea rossa per orientarci in questi 100 km di altitudine.

Si parte dal punto in basso, situato a circa 17°C: questa è la temperatura media della terra al livello del mare. Inizia lo strato detto troposfera, che è lo strato in cui viviamo, in cui si trovano le nuvole ed in cui viaggiano gli aerei. Salendo nella troposfera la temperatura diminuisce in quanto ci si allontana dalla calda superficie terrestre. Ad un certo punto, però, questa riduzione di temperatura è controbilanciata dal riscaldamento radiativo (ossia dovuto alle radiazioni, le onde elettromagnetiche) proveniente dagli strati superiori. Questo avviene tra gli 8 ed i 18 km, a seconda della stagione e del luogo e per un piccolo tratto, detto tropopausa, la temperatura resta sostanzialmente costante.

Da cosa proviene questo riscaldamento radiativo? Continuando a salire oltre la tropopausa, ci troviamo nella stratosfera. Qui avviene un fenomeno fondamentale per la persistenza della vita sulla Terra: l’ozono (O3), assorbendo luce ultravioletta, si scalda e si rompe in una molecola (O2) ed in un atomo di ossigeno (O), evitando alla radiazione a queste lunghezze d’onda potenzialmente dannose per la vita di raggiungere la superficie terrestre. Anche le molecole di ossigeno così formate possono rompersi a causa della radiazione ultravioletta, assorbendone un’altra parte. Viceversa, se una molecola ed un atomo di ossigeno collidono, si forma un atomo di ozono. Queste reazioni formano il cosiddetto Ciclo di Chapman dell’ozono, e fanno che sì che la sua concentrazione sia sostanzialmente costante nel tempo. La stratosfera contiene circa il 90% dell’ozono terrestre. Il picco dell’ozonosfera è situato tra i 25-32 km di altitudine, dove le reazioni del Ciclo di Chapman sono più efficienti a causa del bilancio ottimale tra pressione atmosferica e quantità di radiazione solare. Il picco della temperatura, e quindi la fine della stratosfera, avviene a circa 48 km di altitudine, dove l’ozono assorbe la radiazione alla minore lunghezza d’onda (ossia più energetica).

Dopo un breve tratto di stratopausa, in cui la temperatura resta sostanzialmente costante, ci si trova immersi nella mesosfera. Qui, siccome la densità di ozono è troppo bassa per far sì che il Ciclo di Chapman continui ad essere efficiente, l’atmosfera ricomincia a raffreddarsi in maniera simile alla troposfera.

La mesopausa, situata a circa 82 km, determina una nuova inversione di temperatura: nella termosfera infatti la temperatura dell’aria ricomincia ad aumentare, perché l’ossigeno e l’azoto molecolare assorbono le radiazioni più energetiche provenienti dal Sole. Ma è importante notare una cosa: se ci trovassimo nella termosfera (ammettendo di poter sopravvivere alle radiazioni e alla carenza di ossigeno) non avremmo caldo! Infatti, la temperatura è alta perché la particelle di aria sono molto eccitate dalla radiazione a brevissima lunghezza d’onda (la temperatura indica proprio l’energia cinetica delle particelle del corpo che stiamo misurando), ma la pressione, e quindi la densità, dell’aria in questo strato di atmosfera è estremamente bassa. Ossia ci sono pochissime particelle, anche se molto calde.

Importante è sottolineare che la maggior parte della dinamica atmosferica avviene nel parte più bassa della troposfera, che viene generalmente indicata come boundary-layer (strato limite), che è la parte di atmosfera che subisce direttamente l’influenza della superficie terrestre. Questo strato, detto anche “di rimescolamento”, risponde alle variazioni atmosferiche in media in un’ora di tempo ed è spesso tra i 50 ed i 3000 metri circa.

La composizione chimica dell’atmosfera terrestre

Conoscere la composizione chimica dell’atmosfera terrestre è di fondamentale importanza per comprenderne i processi che vi si verificano e le interazioni con la biosfera, l’insieme degli organismi viventi che popolano il nostro pianeta. La composizione chimica dell’atmosfera può variare per varie ragioni, sia di origine antropica (ad esempio a causa delle emissioni della combustione) che non antropica (vulcani, fulmini, tempeste solari).

Il 99.9 % dell’atmosfera terrestre è contenuta entro i primi 50 km di altitudine, ma dal punto di vista della composizione chimica, l’atmosfera terrestre viene suddivisa in omosfera ed eterosfera. L’omosfera si estende circa fino ad 80-100 km di altitudine, ed indica la parte di atmosfera in cui la composizione chimica resta sostanzialmente costante nel tempo ossia, sebbene il contenuto totale di gas varii, la composizione relativa dei suoi componenti resta in pratica invariata nel tempo. L’eterosfera è invece la porzione superiore a questa altitudine in cui questa affermazione è falsa.

Si può operare una distinzione tra gas fissi e gas variabili, a seconda del loro rimanere quantitativamente quasi costanti nel tempo e nello spazio o meno. La seguente tabella mostra il contenuto delle varie specie chimiche omosferiche in percentuale ed in parti per milione (di volume). Da notare che il contenuto si calcola per l’aria secca, ossia senza considerare il vapor acqueo.

Composizione chimica dell’atmosfera in percentuale ed in ppmv. Credits: Fundamentals of Atmospheric Modeling

I gas fissi

I gas fissi principali sono l’azoto molecolare (N2) e l’ossigeno molecolare (O2), che insieme compongono circa il 99% di tutta la chimica omosferica. La maggior parte del rimanente 1% è composta da argon (Ar), un gas chimicamente inerte (ossia che tende a non reagire con altre sostanze). Per far sì che le percentuali di tali gas restino costanti, è necessario che vengano prodotti tante particelle quante ne vengono rimosse.

  • Azoto molecolare (N2): prodotto biologicamente per denitrificazione dei terreni, un processo in cui alcuni batteri (Achromobacter, Bacillus, Micrococcus, Pseudomonas, Spirillum) in condizioni anaerobiche, ossia prive di ossigeno, respirano azoto invece che ossigeno. Altri processi di produzione sono la decomposizione batterica della materia organica e l’applicazione di fertilizzanti. La rimozione avviene per fissazione nel terreno, sempre a mezzo di batteri (Rhizobium, Azotobacter, Beijerinckia) in condizioni aerobiche.
  • Ossigeno molecolare (O2): prodotto per fotosintesi dalle piante, attraverso la reazione tra molecole di anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O). La rimozione avviene per respirazione.
  • Argon e altri: l’argon (Ar) è un gas inerte formato per decadimento del potassio. Altri gas presenti in traccia sono il neon (Ne), l’elio (He), il krypton (Kr) e lo xenon (Xe), prodotti anch’essi per decadimento radioattivo nella crosta terrestre.

 I gas variabili

Si tratta di gas la cui concentrazione varia significativamente nel tempo e nello spazio. Nell’atmosfera sono presenti migliaia di gas variabili, ma di questi quelli importanti sono una dozzina, di cui i principali:

  • Vapore acqueo (H2O): prodotto principalmente per evaporazione dai terreni, laghi, fiumi, oceani e mari, e per sublimazione dai ghiacciai, dal ghiaccio marino, dalla neve e per traspirazione dalle piante. Inoltre viene prodotto artificialmente durante la combustione di carburante. Circa l’85% comunque proviene dall’evaporazione superficiale degli oceani. La rimozione di vapor acqueo avviene per condensazione in acqua liquida, deposizione di ghiaccio, trasferimento dagli oceani ad altre superfici, e reazioni con altri gas. La percentuale di vapor acqueo in atmosfera è sensibilmente variabile con la latitudine: quando la temperatura è bassa, per esempio ai poli, l’acqua in atmosfera è poca perché condensa rapidamente in ghiaccio; all’equatore invece l’evaporazione è molto più rapida a causa delle elevate temperature, e la percentuale di acqua arriva al 4%.
  • Biossido di carbonio (CO2): prodotto dalla respirazione, dalla decomposizione di materia organica, dall’evaporazione dagli oceani, dalle emissioni vulcaniche, e dalla combustione di fonti fossili. L’anidride carbonica, così come il vapor acqueo, è un gas serra, ossia assorbe la radiazione infrarossa proveniente dalla superficie terrestre. Viene rimossa per fotosintesi e dissoluzione negli oceani e durante le precipitazioni. La permanenza media di una molecola di anidride carbonica in atmosfera è di 30-95 anni.
  • Metano (CH4): è prodotto in ambiente anaerobico, quando i batteri produttori di metano consumano materia organica e producono questo gas. Questi ambienti anaerobici comprendono le risaie, le discariche e gli intestini. Viene inoltre prodotto nel terreno per decomposizione del carbone fossile.
  • Ozono (O3): è un gas formato per reazione fotochimica nella stratosfera. Si veda la Parte I di questo approfondimento per ulteriori dettagli.

Aerosol

Nell’atmosfera non si trovano solamente gas. In essa infatti, possono trovarsi sospese anche particelle solide o liquide, dette aerosol. La presenza di queste particelle in atmosfera è dovuta principalmente all’azione dei venti sui deserti, dove le sabbie sottili vengono prelevate e trasportate, e all’azione dei vulcani. Esistono anche aerosol di origine antropica prodotte dai processi industriali e di combustione.

Gli aerosol sono molto importanti in quanto nuclei di aggregazione. In pratica le particelle di vapor acqueo vanno a depositarvisi, andando a costituire dei nuclei per la formazione di nubi.

Tendenzialmente le particelle in sospensione non assorbono radiazione solare in misura significativa, ma sono molto importanti nei processi di diffusione (scattering), dando un contributo importante alla distribuzione dell’energia radiativa proveniente dal Sole.

La circolazione atmosferica

Per circolazione atmosferica si intendono l’insieme di moti di massa atmosferica che vengono distinti in genere in venti e moti convettivi. I primi sono moti orizzontali, ossia nelle direzioni di latitudine e longitudine, mentre i secondi sono moti verticali, ossia in direzione dell’altitudine.

La causa basilare del vento è la differenza di pressione: la forza gradiente, di cui abbiamo parlato nella Parte I di questa serie di approfondimenti, fa sì che le masse d’aria tendano a spostarsi dalle zone di alta pressione a quelle di bassa, cercando di eliminare il dislivello di pressione tra queste due zone (così come un gas tende a riempire tutto il contenitore in cui si trova). A creare queste differenze di pressione contribuisce in modo decisivo il riscaldamento differenziale della superficie terrestre dovuto all’inclinazione dell’asse rispetto all’irraggiamento solare: l’equatore è più caldo e i poli sono più freddi. L’aria più fredda è più compressa, ossia ha una pressione maggiore, mentre quella più calda è più espansa, ossia ha una pressione minore. In questo modo si innescano delle correnti che vanno dai poli all’equatore.

Nel loro moto, tuttavia, queste masse d’aria subiscono anche la forza di Coriolis, che tende a deviare i moti verso destra nell’emisfero boreale e verso sinistra in quello australe. Si tratta di una forza apparente, perché non è dovuta ad un qualche agente, ma solo alla scelta del sistema di riferimento. La seguente animazione può rendere più chiaro il fenomeno. Prendendo il moto della particella nera e guardando il punto rosso fisso, si può notare come per l’osservatore esterno (figura sopra), la particella compie un moto rettilineo, mentre per un osservatore interno (figura sotto), questo moto rettilineo appare curvilineo. Ma è appunto legato al fatto che nel secondo caso, osservando dalla superficie terrestre, stiamo ruotando insieme ad essa, e non vediamo che è in realtà la superficie terrestre a “sfilarsi” da sotto la particella in moto, facendo apparire il suo moto come curvilineo.

Il risultato netto dell’azione di queste forze, senza tenere in considerazione ulteriori complicazioni ed effetti locali che si hanno solo nel boundary layer, ossia nello strato più basso di atmosfera (vedi Parte I),e che saranno trattate in un prossimo approfondimento, è quello di generare dei venti paralleli alla superficie terrestre e dei moti convettivi verticali, necessari per eliminare i gradienti di pressione e temperatura.

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I venti in gioco su scala planetaria si stabilizzano essenzialmente in sei fasce di latitudine. Nell’emisfero boreale, dal polo si generano dei venti che soffiano da nord-est verso sud-ovest detti polar easterlies (polari orientali). Alle nostre latitudini soffiano invece i westerlies, da sud-ovest verso nord-est, e procedendo verso l’equatore si hanno i trade winds, che sono altri easterlies. Nell’emisfero australe la situazione è speculare.

I moti globali non sono però solo orizzontali. Esistono delle correnti convettive dette celle di Hadley attorno all’equatore, celle di Ferrel alle medie latitudini e infine celle polari.

Le celle di Hadley vanno dalla fascia equatoriale fino a quelle tropicale e sono dovute all’intenso riscaldamento a cui è soggetto l’equatore. Il riscaldamento genera infatti una risalita di aria calda e meno densa che, raffreddandosi tende a discendere verso le zone tropicali, entrando in circolo nelle celle.

I westerlies nelle zone temperate tendono ad andare verso i poli: giunti al 60° parallelo si innalzano (in quanto più caldi della fredda aria polare), fino a raffreddarsi e ridiscendere, formando così le celle polari. La presenza di celle polari da una parte e celle di Hadley dall’altra determina la nascita delle celle di Ferrel a medie latitudini.

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