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I pianeti e i buchi neri cantano? Il suono nello spazio

In rete di suoni emessi da corpi celesti se ne trovano a bizzeffe. Si trovano ad esempio i suoni eterei emessi dagli anelli di Saturno, o quelli quasi inquietanti della magnetosfera gioviana, o ancora il cinguettìo di due buchi neri che collidono emettendo un’onda gravitazionale. Ma di cosa stiamo parlando? Cosa sono questi suoni?

Partiamo da un presupposto: il suono, nel vuoto dello spazio, non si propaga. Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, si propagava, ad esempio quando il Governatore Tarkin dà l’ordine di fare fuoco su Alderaan, facendolo esplodere con un fragore micidiale. Ma la realtà fisica al di là della fantascienza è ben diversa.

Cosa è il suono

Il suono (in parte avevamo già affrontato il problema parlando delle singing dunes) è una vibrazione che si propaga attraverso quello che viene chiamato mezzo di trasmissione, che può essere per esempio l’aria o l’acqua. Se un corpo vibra all’interno del mezzo di trasmissione, causa una vibrazione delle particelle del mezzo stesso che si propaga come onda sonora.

Ad esempio quando parliamo facciamo vibrare le corde vocali, inducendo una vibrazione alle particelle dell’aria circostante. Questa vibrazione può propagarsi fino a disperdersi oppure, per esempio, urtare contro il timpano di un’altra persona che può così ascoltare i nostri vaneggiamenti di fisica.

Come le onde luminose, anche quelle sonore sono caratterizzate da una frequenza che dipende dalla rapidità con cui avviene la vibrazione. A differenza di queste ultime tuttavia, che possono viaggiare anche nel vuoto e che anzi proprio nel vuoto danno il meglio di sé, le onde sonore sono un’oscillazione del mezzo stesso.

Nelle onde luminose in cui il trasporto di energia avviene tramite fotoni, nel caso di quelle sonore invece non c’è un trasporto di particelle dalla sorgente al ricevitore, ma sono le stesse particelle che costituiscono il mezzo a vibrare trasmettendo l’informazione acustica. Se non c’è mezzo, o se è troppo rarefatto, non ci può essere suono. Ma cosa stiamo ascoltando quindi, quando ascoltiamo quei video titolati “il suono di due buchi neri in collisione”, o “il suono degli anelli di Saturno”?

“Il suono di due buchi neri in collisione”, video di grande impatto mediatico diffuso alla scoperta dei primi segnali gravitazionali nell’ormai lontano 2016.

Sonificazioni, queste sconosciute

Titolare un video “il suono di…” è sicuramente di grande impatto mediatico, molto più che dire “la sonificazione delle frequenze elettromagnetiche di…“, per cui la scelta si capisce bene in termini di visibilità. Tuttavia senza una spiegazione a seguito, come accennata ad esempio in questo post dell’Esa, il contenuto rischia di essere fuorviante.

I “suoni” dei corpi celesti non sono altro che, appunto, sonificazioni. Le frequenze delle onde elettromagnetiche o gravitazionali sono semplicemente convertite in frequenze acustiche per renderne possibile la fruizione da parte dell’ascoltatore che altrimenti si dovrebbe accontentare della freddezza dei dati su un grafico (come quello che si visualizza nel video di LIGO, ad esempio). Un’onda radio, con una frequenza per esempio a 200 Hertz, può quindi essere sonificata e rappresentata con un suono a 200 Hertz. Ma nulla di più, quel suono non esiste e non si propaga, è solo un modo di rappresentare dei dati.

Una serie di sonificazioni ottenute con i dati delle sonde Nasa

Per quanto riguarda i pianeti, spesso si tratta ad esempio delle emissioni radio dei loro campi magnetici che vengono rappresentate in frequenze acustiche. Spesso le sonificazioni vengono fatte a partire da onde radio perché l’orecchio umano può percepire frequenze comprese tra i 20 e i 20 000 Hertz, che corrispondono, una volta convertiti i valori in frequenze elettromagnetiche, alle onde radio a bassa e bassissima frequenza.

Recentemente sono state presentate come sonificazioni anche le frequenze sismiche rilevate dal sismometro della sonda Nasa InSight. In questo caso la sonificazione diretta non sarebbe stata udibile all’orecchio umano, perché le frequenze, minori di 10 Hertz, sono troppo basse. Per rendere il suono udibile sono state perciò velocizzate, amplificando il valore di frequenza di 60 volte. Anche nel video dei buchi neri in collisione è stato fatto lo stesso, e si può vedere bene la differenza tra il suono senza amplificazione (i primi due suoni) e il suono amplificato.

Ci sono anche poi casi ancora più elaborati, ma il concetto di base è sempre lo stesso. In questo video dei Pilastri della Creazione è stata effettuata una sonificazione dei dati nella luce visibile e ai raggi X. Quasi come la rotazione in un carillon, la linea verticale scorre da sinistra a destra sull’immagine interpretando sonoricamente le frequenze luminose delle stelle e del gas che incontra su due diverse tracce musicali. Una traccia sonifica i dati visbili, l’altra quelli ai raggi X. Anche in questo caso, la traduzione da frequenze elettromagnetiche a quelle acustiche non può essere diretta perché altrimenti non sarebbero udibili dall’orecchio umano.

La combinazione della sonificazione dei raggi X e della luce visibile. Credits: NASA/CXC/SAO/K. Arcand, M. Russo & A. Santaguida
La sonificazione delle sole frequenze visibili. Credits: NASA/CXC/SAO/K. Arcand, M. Russo & A. Santaguida
La sonificazione delle sole frequenze X. Credits: NASA/CXC/SAO/K. Arcand, M. Russo & A. Santaguida

Di esempi di questo tipo ce ne sono moltissimi, ognuno con il suo particolare stile di sonificazione. Si tratta di suoni bellissimi, eterei, a volte quasi magici. Ma nel silenzio iperbarico dello spazio, non sentiremmo nulla di tutto ciò: sono sonificazioni, un bellissimo modo di rappresentare i dati e allietare l’orecchio, ma nulla di più.

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