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Cosa c’entra Mercurio con la Relatività Generale?

La spiegazione di piccolissime discrepanze nell’orbita di Mercurio fu uno dei più grandi successi della Relatività Generale, la teoria di Einstein che scombussolò la fisica agli inizi del secolo scorso

Nel moto di Mercurio attorno al Sole c’era qualcosa che non tornava: seguendo il buon Keplero, il suo moto come quello di tutti i pianeti è un’orbita ellittica, con il Sole che si trova in uno dei due fuochi dell’ellisse. Tuttavia, il suo perielio, ossia il punto di massimo avvicinamento al Sole, avanzava leggermente ogni anno, una variazione del moto nota come precessione del perielio. Ogni anno quindi il pianeta descriveva un’ellisse più un pezzetto.

Un po’ di precessione ce la si aspetta sempre: tutti i pianeti lo fanno a causa del fatto che nel Sistema Solare non c’è solo il Sole ma ci sono tutti gli altri pianeti che influenzano il moto di tutti gli altri facendolo deviare da un ellisse pura. Tuttavia, l’avanzamento del perielio di Mercurio era troppo ampio per essere spiegato in questo modo. Stiamo comunque parlando di una discrepanza piccolissima. Prendiamo un angolo piccolissimo, di un grado, e quell’angolo dividiamolo in 60 parti. Di queste prendiamone una sola: un minuto d’arco, è proprio di quella quantità che il perielio di Mercurio avanza ogni secolo.

Illustrazione schematica della precessione del perielio di un pianeta

Il pianeta Vulcano

Il fatto che si riuscisse a calcolare una discrepanza così piccola, e che infastidisse così tanto da notarla, era proprio indice di quanto i calcoli fatti con la meccanica di Newton si fossero dimostrati precisi fino a quel momento nel descrivere il moto dei pianeti. Qualcosa di simile a quello che si osservava su Mercurio era già successo con il pianeta Urano. Studiando le piccole discrepanze nella sua orbita si capì che ci doveva essere un altro pianeta a influenzarla, oltre a quelli noti. Nettuno fu scoperto nel 1846. Poteva esserci una spiegazione simile anche per Mercurio?

Il matematico francese Urbain Le Verrier, uno dei matematici che arrivò alla predizione e alla scoperta di Nettuno, fece dei calcoli per capire cosa potesse causare la precessione del perielio di Mercurio e pubblicò le sue ipotesi nel 1859. Poteva esserci un corpo delle stesse dimensioni di Mercurio, ma situato su un’orbita ancora più vicina al Sole rispetto a Mercurio, o poteva esserci un anello di asteroidi nella stessa posizione. Un’altra possibilità era anche che il Sole fosse meno sferico di quanto si pensasse.

Mercurio dalla sonda Messenger. Credits: Nasa

A quel punto si fece sentire il medico francese Edmond Lescarbault, che mentre osservava il Sole sosteneva di aver osservato, proprio lo stesso anno, un pianeta interno all’orbita di Mercurio che passava di fronte al disco solare. Era fatta. Le Verrier lo incontrò e lo ritenne affidabile: il nuovo pianeta si sarebbe chiamato Vulcano. Orbitava attorno al Sole in 20 giorni terrestri ed era responsabile della precessione del perielio di Mercurio. Negli anni seguenti furono riportate altre osservazioni di Vulcano, circa una ventina. Ma nonostante questo, qualunque tentativo di predire la sua posizione e poi osservarlo dove avrebbe dovuto trovarsi falliva, e alcune ricerche condotte durante le eclissi solari non portarono a nulla. Il mistero si infittiva.

L’Epoca di Einstein

L’esistenza di Vulcano vacillava e pochi continuarono a credere all’ipotesi di Le Verrier. Ma la precessione del perielio di Mercurio restava, e fino al 1915 rimase un mistero. Era uno dei primi indizi che qualcosa non andava nella gravità di Newton, indizi che nel 1915 culminarono con la formulazione della Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein.

Newton era infastidito dalla sua stessa gravità: come potevano degli oggetti esercitare una forza l’uno sull’altro senza entrare in contatto, senza scambiarsi materia o energia o altro? Sembrava quasi una magia e Newton si limitò a descriverla senza capirla. Comunque un passo rivoluzionario, ci mancherebbe altro, ma mancava una comprensione della natura ultima della gravità. Con Einstein invece ci fu un cambio di paradigma: la gravità einsteiniana non era più una forza ma una conseguenza della geometria dello spazio-tempo che si incurva quando vi si trovano delle masse. Tutta la teoria della relatività generale è in effetti una descrizione di come la geometria dello spazio-tempo è influenzata dalla presenza di materia ed energia.

Cosa c’entra la relatività col perielio di Mercurio

Le conseguenze della Relatività sono tantissime, nei campi più disparati, dalla geometria del cosmo ai buchi neri, dalle onde gravitazionali agli effetti della dilatazione del tempo. Ma tra le tante conseguenze, la Relatività prevede anche… la precessione del perielio di Mercurio. Quando pubblicò la sua teoria nel 1915, Einstein utilizzò proprio questo risultato come una delle prove a sostegno delle sue tesi. La sua teoria era in grado di prevedere quasi esattamente la precessione del perielio misurata nei decenni precedenti. Poi arrivarono altre prove che confermarono la precisione (e la bellezza) della Teoria della Relatività Generale, come quella storica dell’eclissi solare di Eddington del 1919 fino a quelle più recenti delle onde gravitazionali. Non si torna più indietro: la gravità di Einstein funziona alla grande e dà anche un’interpretazione consistente di cosa sia la gravità.

La precessione osservata nell’orbita di Mercurio è di 5600 secondi d’arco ogni secolo. Di questi, rimanendo nel regime della dinamica di Newton e tenendo conto del moto di tutti i pianeti che possono influire sulla sua orbita, potevano essere spiegati 5557 secondi d’arco per secolo. Quelli che non riuscivano a essere spiegati erano quei 43 secondi d’arco di differenza. L’orbita di un pianeta non è quindi mai davvero un’ellisse, ma è sempre un’ellisse che ruota su sé stessa a ogni orbita. Se la guardassimo nel corso di molte orbite successive otterremmo quella che viene chiamata orbita a rosetta.

La relatività generale prevede e giustifica proprio quei 43 secondi d’arco proprio conseguenza del fatto che il pianeta non si muove in uno spazio immutabile ma in uno spazio-tempo curvo. Questo effetto è più significativo più ci si avvicina al Sole e meno significativo più ci si allontana. Per questo al tempo veniva osservato solo nel caso di Mercurio, dove il campo gravitazionale del Sole è più intenso. Oggi con misure più sofisticate, ottenute anche grazie alle sonde spaziali, è stato osservato anche per la Terra e per Venere, per quanto sia ovviamente molto meno evidente. Per Venere per esempio la precessione relativistica è di soli 8,6 secondi d’arco, un quarto di quella di Mercurio. Quella della Terra è di appena 3,83 secondi d’arco. Su Marte l’effetto teorico è di 1,6 secondi d’arco e su Giove di 0,6 secondi d’arco, ma sono valori troppo piccoli per essere osservati.

Altre fonti: Storia dell’Astronomia di Cambridge, General Relativity, Introduction to modern astrophysics

2 pensieri riguardo “Cosa c’entra Mercurio con la Relatività Generale?

  • giuseppe guastella

    ”La relatività generale prevede e giustifica proprio quei 43 secondi d’arco proprio conseguenza del fatto che il pianeta non si muove in uno spazio immutabile ma in uno spazio-tempo curvo. Questo effetto è più significativo più ci si avvicina al Sole e meno significativo più ci si allontana.” Se ci fosse solo il sole non ci sarebbe precessione .Vicino al sole gli altri sono niente , oder?

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  • Angelo

    Albert fdiede la spuiegazione chock in un pranzo tra amici professori in Germania, quando invitò i presenti a prendere in mano la tovaglia e quindi di stendersi all’indietro, facendo forza sulla tovaglia. Quindi buttò unj frutto pesante che andò al centro della tovaglia, incurvando la tovaglia verso il basso (spazio tempo curvato). Poi gettò dei piccoli frutti tondi sulla tovaglia verso il Sole e fece osservare che tipo di orbita si verificasse !

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