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Marte sta perdendo la sua atmosfera

Molti segnali sulla superficie di Marte lasciano intendere che un tempo la sua atmosfera fosse molto più densa di quella che è oggi e che ancora oggi il gas sia in continua fuga dalla sua gravità. Ma perché e dove va a finire?

Nel 1965 la sonda Mariner 4 sorvolò Marte. Lo fece per la prima volta nella storia e per la prima volta potemmo vedere da vicino quel mondo così assurdamente bello, desolato e ostile. Eseguì un flyby, un sorvolo del pianeta, ottenendo 22 immagini e trasmettendole verso Terra. Fu il primo vero e proprio impatto con l’evidenza: Marte era un pianeta desertico, non c’era acqua liquida né vegetazione né alcuna forma di vita. Alcuni anni dopo, nel 1971, attorno a Marte arrivò la sonda Mariner 9. Fu il primo satellite marziano. Arrivò nel bel mezzo di una tempesta di sabbia globale, una delle tempeste che ciclicamente avvolgono tutto il pianeta: la sabbia nascondeva tutta la superficie, innalzandosi fino a 70 km di altitudine e riscaldando l’atmosfera in un tremendo effetto serra. Quando la tempesta si dissolse, la Mariner 9 ci permise di osservare da vicino i dettagli superficiali del pianeta e costruire la prima vera e propria mappa marziana. Le sommità dei vulcani, la rete di valli, i cappucci polari con le loro stratificazioni di ghiaccio e la differenza tra terreni più antichi e ricoperti di crateri e quelli più giovani e rielaborati dai processi geologici, tutti gli aspetti fino a quel momento solo ipotizzati della superficie di Marte acquistavano una loro concretezza.

Un passato umido

La coppia di sonde Viking 1 e 2 furono lanciate nel 1975 e l’anno successivo giunsero presso il pianeta rosso. Erano due satelliti e due lander diretti verso la superficie marziana. L’obiettivo principale? Trovare tracce di vita presente o passata nel suolo marziano. Alla fine dei conti, il programma Viking non trovò tracce di vita, ma accrebbe incredibilmente le nostre conoscenze del pianeta, raccogliendo dati fino a novembre 1982, quando si persero i contatti anche con l’ultimo modulo dei quattro che erano partiti da Cape Canaveral.

La mappa di Marte dalla Mariner 9

In continuità con la Mariner 9, le immagini e i dati delle sonde Viking rivoluzionarono la nostra conoscenza di Marte. Si comprese che moltissime formazioni geologiche superficiali non erano altro che il segno evidente della presenza passata di acqua su Marte. C’erano reti di valli, delta fluviali, bacini lacustri e i cosiddetti outflow channels, canali dovuti all’improvvisa fuoriuscita di acqua dai bacini. Addirittura un’immensa distesa nell’emisfero nord, la cosiddetta Vastitas borealis potrebbe essere stata, un tempo, il pavimento di un grande oceano. Per produrre queste morfologie servirebbe molta acqua, abbastanza da ricoprire l’intero pianeta con un oceano di 400 metri di spessore. Ma oggi lo spettacolo a cui assistiamo è decisamente diverso.

Un presente iperarido

Marte è più arido di qualunque deserto iperarido che si trovi sulla Terra. C’è pochissima acqua in atmosfera, non piove mai, non ci può essere acqua liquida. Un clima tanto secco da far impallidire anche il Sahara o l’Atacama. L’escursione termica è impressionante: si passa senza problemi da -100°C a 0°C nel corso di una giornata. Tutto questo è il risultato di un semplice fatto: l’atmosfera di Marte è oggi estremamente rarefatta.

Su marte ci sono circa un 150esimo delle particelle che costituiscono l’atmosfera terrestre. Quantitativamente, se l’atmosfera terrestre, sulla superficie, ha una pressione media di 1013 millibar, quella marziana è di circa 6 millibar. Non occorre sapere cosa sia un millibar per intuire che questi numeri indicano che l’atmosfera marziana è molto più tenue di quella terrestre. E questo è un problema per l’acqua liquida, che non può infatti più esistere su Marte a causa della bassa pressione. In generale un liquido può esistere come liquido solo in determinati limiti di temperatura e pressione, superati quelli diventa solido, oppure gassoso. Ed è proprio quello che succede all’acqua su Marte, che esiste solamente allo stato gassoso in atmosfera oppure allo stato solido come ghiaccio nelle calotte polari o mescolata ai minerali del terreno. Sì, c’è la questione dei laghi sotterranei, ma qui parliamo della superficie (sotto terra la pressione aumenta e quindi può di nuovo esistere allo stato liquido).

Marte immortalato da Hubble Space Telescope

Sorge spontanea allora una domanda. Se su Marte l’acqua liquida non può esistere, come si sono formate tutte quelle formazioni geologiche che mostrano chiaramente la presenza di acqua liquida? La risposta è che l’acqua liquida non può esistere oggi, ma poteva farlo nel passato, quando l’atmosfera di Marte era molto più densa e calda.

L’atmosfera di Marte fugge

Rispetto alla Terra, su Marte ci sono più isotopi pesanti di quanti ce ne aspetteremmo. Due isotopi sono atomi di uno stesso elemento che differiscono per numero di neutroni. Per esempio l’idrogeno di base è costituito da un protone e un elettrone, ma esiste il suo isotopo che oltre all’elettrone ha un nucleo con un protone e un neutrone, e lo chiamiamo deuterio. Quando in una molecola d’acqua troviamo il deuterio invece dell’idrogeno standard (il prozio), si parla di “acqua pesante”. Il fatto stesso che ci siano più isotopi pesanti del previsto è indice del fatto che sia avvenuta una qualche forma di fuga atmosferica. Gli atomi più leggeri fuggono più facilmente dalla gravità di un pianeta, perché è più facile che siano accelerati fino alla raggiungere la velocità necessaria.

Credits: Nasa

Di base, poi, Marte è piccolo. Una considerazione semplice, scontata, ma che ha grosse conseguenze sulla sua evoluzione e sulla questione della fuga atmosferica. Punto primo: il diametro di Marte è circa la metà di quella terrestre, che vuol dire che la sua gravità è circa un quarto. E se la gravità è debole, è più facile che le particelle fuggano. Punto secondo: Marte non ha più un campo magnetico. Ce lo aveva, all’inizio, ma poi attorno ai 4 miliardi di anni fa si è raffreddato quanto basta da perdere la capacità di produrlo. Per produrre un campo magnetico ci deve infatti essere un fluido conduttore interno al pianeta e una sorgente di calore interna. Se questa sorgente non è più abbastanza intensa, il pianeta perde il suo campo magnetico. Perdere il campo magnetico significa avere una ridotta protezione dai raggi e dai venti solari, che sono alcuni dei principali piloti della fuga atmosferica.

I processi di fuga atmosferica

Ci sono vari metodi di fuga atmosferica. Il metodo più classico è quello della cosiddetta fuga di Jeans (da Sir James Jeans, il fisico britannico che lo descrisse): le particelle hanno tutte velocità diverse l’una dall’altra, e può capitare che alcune di esse, negli strati più alti dell’atmosfera, superino la velocità che serve per fuggire alla gravità del pianeta. Questo processo può avvenire più facilmente se la particella è più leggera, se la gravità del pianeta è più bassa e se l’atmosfera è più calda e quindi in media le particelle hanno velocità maggiori. Per via di questi fattori, non stupisce che un pianeta gigante come Giove riesca a mantenere molto dell’idrogeno primordiale, mentre un pianetino come Marte lo abbia lasciato fuggire per gran parte nello spazio mantenendo invece molecole più pesanti come l’anidride carbonica.

Ma la fuga di particelle più leggere può contribuire anche a quella di particelle più pesanti. Con la fuga cosiddetta idrodinamica le particelle leggere in fuga possono urtare durante il tragitto con quelle più pesanti, accelerandole eventualmente fino alla velocità di fuga dal pianeta. Perché ciò avvenga l’atmosfera deve essere densa sennò le particelle leggere non sono abbastanza, quindi nel caso di Marte questo processo poteva essere significativo solo nelle fasi iniziali.

Oltre a queste due possibilità, ce ne sono altre possibilità con cui le particelle possono superare la velocità di fuga, che rientrano sotto il termine ombrello di fuga non termica. Le particelle possono essere accelerate fino alla velocità di fuga dall’energia fornita loro dai raggi solari (fuga fotochimica), dall’interazione con i venti solari, oppure dall’energia sprigionata dagli impatti meteorici (erosione da impatto).

La fuga dei gas da Marte

La fuga di materiale atmosferico da Marte continua ancora oggi, al ritmo di 1-2 chilogrammi di gas al secondo, secondo le stime effettuate con i dati di Maven. L’efficacia dei vari processi di fuga è diversa per le diverse molecole. La fuga di Jeans non è particolarmente efficiente, in genere, perché la temperatura degli strati esterni dell’atmosfera marziana non è tanto alta. Ma può diventare interessante per la fuga dell’idrogeno prodotto dalla rottura delle molecole di acqua, anche in combinazione con le tempeste di sabbia che trasportano l’acqua ad altitudini maggiori.

Quando la Mariner 9 arrivò attorno a Marte imperversava una tempesta di sabbia globale. Credits: Nasa

La fuga fotochimica e quella legata al vento solare sono invece particolarmente efficaci per gli atomi più pesanti come l’ossigeno, l’azoto e il carbonio dell’anidride carbonica. Viene a questo punto spontaneo chiedersi: l’atmosfera di Marte, a un certo punto… Finirà?

L’atmosfera marziana… Finirà?

Il calcolo più intuitivo si può fare abbastanza semplicemente. Su Marte ci sono circa 25 milioni di miliardi di chilogrammi di gas. Al ritmo di 1,5 chilogrammi persi ogni secondo, occorreranno 1,7 milioni di miliardi di secondi per terminare il gas. Parliamo di 530 milioni di anni; mezzo miliardo, arrotondando. Ma un calcolo così semplice non ha molto senso, perché i processi di fuga atmosferica dipendono in maniera complessa e intricata dai parametri dell’atmosfera (temperatura pressione e densità) che variano al variare della quantità di gas presente, e anche dalla variabilità intrinseca degli agenti che esercitano influenze su Marte, venti solari e impatti meteorici. Inoltre se ci sono dei processi che portano gas via dall’atmosfera marziana, esistono anche dei processi che dalla superficie o, per esempio tramite impatti planetari, portano nuovo gas in atmosfera. Come se non bastasse, ci sono incertezze molto grandi in ballo in questi processi, che dipendono molto da complessi modelli e osservazioni. Quindi la conclusione è che no, non è un calcolo che possiamo fare.

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