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La Fisica dei Fulmini: cosa sono e come si formano

I fulmini sono uno dei fenomeni naturali più luminosi e rumorosi che possano avvenire sulla Terra. Nonostante siano estremamente diffusi, non solo nelle tempeste ma anche nel corso di altri eventi come le eruzioni vulcaniche, sono ancora molte le incognite riguardo la loro natura fisica.

Nel 1752, usando un aquilone, Benjamin Franklin fece uscire i fulmini dal regno del soprannaturale portandoli in quello della fisica. L’aquilone aveva una struttura metallica e vi era legata una chiave di metallo. Benjamin lo fece volare durante una tempesta e un fulmine lo colpì, dimostrando così che ciò Franklin fin dal 1746 aveva iniziato a studiare in laboratorio: i fulmini erano un fenomeno elettrico molto simile alle scosse che egli riusciva a riprodurre studiando la separazione delle cariche elettriche di segno opposto. Era, in un certo senso, appena nata la fulminologia, la scienza che studia i fulmini e i fenomeni elettrici in atmosfera.

La moderna ricerca fisica sui fulmini iniziò però oltre un secolo dopo, nel 1916, con le ricerche del fisico britannico Charles Wilson, che riuscì a effettuare le prime misure da remoto del campo elettrico e delle cariche in gioco durante un fenomeno di fulminazione. Le moderne tecniche di misura hanno portato a comprendere molto di più di questi affascinanti fenomeni atmosferici, soprattutto a partire dagli anni ’70 quando, grazie anche alla registrazione di immagini e video ad alta velocità, si riuscì a ottenere un’idea molto più chiara della struttura e dell’evoluzione dei fulmini.

Una vignetta del 1860 che rappresenta Benjamin Franklin alle prese con il suo aquilone. Credits: Alfred Jones, for the Bureau of Engraving and Printing

Per fare un fulmine ci vuole…

La fisica dei fulmini è tanto apparentemente semplice quanto intrinsecamente complessa quando se ne vanno a studiare i dettagli. In linea di principio per fare un fulmine occorrono veramente pochi ingredienti. Innanzitutto devono esistere degli accumuli di particelle di carica opposta che siano separati tra loro da un mezzo a elevata resistenza elettrica, come per esempio l’aria dell’atmosfera: questi mezzi si comportano come delle barriere per le cariche elettriche, e se non ci fossero le cariche sarebbero libere di mescolarsi e non ci sarebbe alcun accumulo. Occorre anche che la barriera sia abbastanza ampia, ossia che gli accumuli di cariche siano abbastanza lontani, così che si generi una forte differenza di potenziale elettrico, quella tensione che si crea tra due cariche di segno opposto che cercano di attrarsi.

Credits: Agu

Il fulmine è una scintilla elettrica molto lunga, è il fenomeno di scarica di corrente tra le regioni cariche, ossia è un meccanismo che consente a queste cariche di essere trasferite rapidamente da una parte all’altra della barriera atmosferica generando l’intenso fenomeno elettrico. Si può intendere come composto da varie parti: un plasma (la saetta), un bagliore diffuso alle frequenze visibili, un segnale alle frequenze radio, un segnale magnetico e un segnale ai raggi X; senza dimenticarsi ovviamente il segnale acustico, il tuono che tutti ben conosciamo. Tutti questi aspetti sono comunque conseguenza di un unico fenomeno fisico, quello della scarica elettrica.

Prima del fulmine: cosa avviene nella nube

In genere i fulmini si formano durante le tempeste, dove il moto delle particelle che compongono le nubi porta, per attrito, alla formazione di regioni cariche elettricamente. L’ipotesi più accreditata è che la formazione di cariche coinvolga le particelle di neve tonda (o grandine molle o graupel), che hanno il peso giusto per cadere o rimanere in sospensione nelle correnti d’aria in risalita all’interno delle nubi, e i piccoli cristalli di ghiaccio che invece sono abbastanza leggeri da essere trasportati verso l’alto in queste correnti. Queste particelle, sfregandosi, si caricano elettricamente: i cristalli di ghiaccio, a carica positiva, risalgono nella parte alta della nube e la grandine, a carica negativa, va invece a disporsi verso il basso.

Grani di neve tonda fotografati il 10 marzo 2010 a Hillcrest Drive. Credits: Sitkanature.org

Che sia o meno questo il meccanismo fisico di separazione delle cariche, una nube di tempesta ha quindi idealmente questa struttura: c’è una regione alta a carica positiva e una bassa a carica negativa; nella parte più bassa della nube, quella che vediamo da terra con i nostri occhi, si osserva un ulteriore strato, sottile, di carica positiva. Anche per quanto riguarda la formazione di questo ultimo strato ci sono varie ipotesi fisiche, ma quello che ci interessa qui è che tale strato esista e sia importante per l’avvio della scarica del fulmine.

La struttura di una nube di tempesta ideale. Credits: Encyclopaedia Britannica

Quali sono i tipi di fulmine

La fisica dei fulmini è una sola, ma si può manifestare in varie forme. Esistono varie tipologie di fulmine, ma essenzialmente si possono suddividere in due macrocategorie: quelli che collegano un’area della nube al suolo e quelli che invece non toccano terra. Quelli che conosciamo meglio, anche perché sono quelli più pericolosi e perché sono gli unici non celati dalle nubi stesse, sono quelli che collegano la nube e il terreno (i fulmini cloud-to-ground). Possono essere a carica positiva o negativa, a seconda della regione della nube da cui si originano, e possono propagarsi sia dall’alto al basso che dal basso all’alto (dal terreno alla nube), ma oltre il 90% sono negativi e si propagano verso il basso.

Un raro fulmine dal basso verso l’alto. Credits: Agu/Tom A. Warner

L’inizio del fulmine: la scarica pilota

Generalmente la scarica si innesca tra la regione negativa della nube e il sottile strato positivo che si trova in basso. In quel momento nasce quella che viene chiamata scarica pilota, o leader del fulmine, una corrente di elettroni liberi che andranno a costituire il fulmine vero e proprio. Gli elettroni liberi si muovono molto più facilmente rispetto alle cariche positive (e pesanti), si accumulano verso la parte bassa della nube e riducono la carica positiva dello strato sottile. A quel punto gli elettroni sono liberi di procedere verso il terreno.

Degli stepped leader durante la discesa verso il suolo. Credits: Geospace Physics Laboratory

Il moto degli elettroni verso il terreno avviene in circa due centesimi di secondo, ma non in linea retta: il leader procede a gradini (stepped leader), segmenti di scarica lunghi decine di metri, che diventano via via più veloci più ci si avvicina al terreno. Ogni gradino ha una sua direzione e intensità e può produrre ramificazioni. Inoltre, ogni gradino produce un impulso di luce alle frequenze visibili, ai raggi X, gamma e alle frequenze radio. La scarica pilota nelle fotografie appare spessa qualche metro, ma si pensa che in realtà la corrente scorra in un nucleo centrale di appena pochi centimetri con una parte luminosa circostante detta corona. Ad ogni modo, ciò che vediamo con gli occhi quando vediamo un fulmine non è questo, ma quello che avviene dopo, quando la scarica pilota entra in contatto con il terreno.

Quando il fulmine tocca il suolo: il return stroke e il tuono

Quando la scarica pilota arriva vicino al terreno, attira le cariche positive che vi si trovano. A quel punto si creano delle scariche a carica positiva dal basso verso l’alto. Una di queste scariche entra in contatto con la scarica pilota stessa determinando il punto di caduta del fulmine. La modalità con cui avviene il contatto è estremamente complessa, variabile da caso a caso, e ancora non del tutto compresa.

Quando avviene il contatto le particelle a carica negativa della scarica pilota vanno rapidamente e violentemente a terra, dove si trovano le cariche positive, causando un’intensa corrente verso il suolo che si manifesta con grande luminosità ed energia. Siccome le cariche non si muovono istantaneamente ma al massimo alla velocità della luce (per i fulmini più frequentemente alla metà della velocità della luce), ciò che avviene nel punto di contatto impiega del tempo a ripercuotersi anche sui punti più in alto della scarica pilota. Avviene allora quello che viene detto colpo di ritorno (o return stroke): l’improvvisa luminosità si manifesta nei punti del fulmine dal basso verso l’alto, creando in apparenza un fulmine che si propaga in senso contrario alla scarica pilota. Il colpo di ritorno è quello che vediamo quando vediamo un fulmine: è un canale luminoso intensissimo che riscalda l’aria circostante anche a 30mila gradi centigradi. Questa, scaldandosi improvvisamente si espande, generando un’onda di pressione nell’aria, un suono che si propaga in tutte le direzioni: il tuono.

Uno stepped leader seguito dal colpo di ritorno

Il fulmine dopo il fulmine: il dart leader

Dopo il colpo di ritorno, il fulmine può in linea di principio esaurirsi, ma nell’80% dei casi la storia non finisce lì: la maggior parte dei fulmini ha più di una scarica consecutiva, in genere tra le 3 e le 5 scariche. Si possono creare altre scariche se, nella nube, arrivano altre cariche negative entro un decimo di secondo dalla scarica pilota. A quel punto si crea un’altra scarica che ripercorre il canale del fulmine precedente, la cosiddetta saetta veloce (o dart leader), molto meno intensa ed energetica. Al dart leader può seguire un altro colpo di ritorno e così via fino a esaurimento della carica negativa. Generalmente i dart leader sono più veloci della scarica pilota, perché non compiono un percorso a gradini ma seguono un canale già formato. Quando questo canale è rovinato, perché magari eroso da un’atmosfera turbolenta, anche il dart può compiere qualche gradino, formando i cosiddetti dart-stepped leader.

E se la carica è positiva?

Il 10% delle scariche pilota partono dalla regione positiva della nube, oppure da quella sottile in basso. In genere le scariche pilota positive non procedono a gradini e la corrente nei colpi di ritorno può arrivare a valori molto più elevati dei fulmini negativi (anche se in media sono simili). Nella maggior parte dei casi i positivi hanno un solo colpo di ritorno senza altre scariche, ma questo è seguito da un periodo di corrente continua lungo il canale del fulmine. I fulmini a carica positiva trasferiscono molta carica elettrica, per cui sono più rari ma anche più pericolosi.

Quanti fulmini cadono al mondo?

Sulla Terra (in un prossimo approfondimento parleremo di cosa succede nel resto del Sistema Solare) cadono tra i 30 e i 100 fulmini al secondo, 9 milioni di scariche al giorno e circa 1,4 miliardi ogni anno. In media, su ogni chilometro quadrato di superficie ne cadono 6 ogni anno, ma in realtà non in tutti i luoghi cade un uguale numero di fulmini.

Dove cadono i fulmini?

Ai poli, ad esempio, ne cadono pochissimi, mentre nelle regioni tropicali ne cadono la maggior parte (oltre due fulmini su tre). Uno dei luoghi in cui cadono più spesso si trova nelle zone montuose a cavallo tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, dove, ogni anno, ne possono cadere 158 per chilometro quadrato. Ma il record assoluto spetta al lago Maracaibo, in Venezuela, dove ne cadono fino a 230 per chilometro quadrato ogni anno. Questo è dovuto alle particolari condizioni meteorologiche del luogo. Per avere i fulmini servono nubi di tempesta, e queste si formano prevalentemente dove i fronti di aria calda e umida risalgono sui versanti, mescolandosi con l’aria fredda che si trova più in alto fino a condensare in nubi. Non sorprende quindi che i posti in cui ne cadono di più siano proprio quelli in cui l’aria umida proveniente dagli oceani si scontra con le grandi catene montuose, come la Cordigliera delle Ande, la Catena Himalayana o i monti del Congo. Anche in Europa la regola è la stessa: il maggior numero di fulmini si origina dove l’aria umida proveniente dal Mediterraneo si scontra con le alte catene montuose, i Pirenei, i Balcani e, ovviamente, le Alpi.

La mappa mostra il numero di fulmini che annualmente cade in ogni chilometro quadrato della superficie terrestre così come misurato con lo strumento Lightning Imaging Sensor della Nasa che ha operato sul satellite Tropical Rainfall Measuring Mission tra il 1995 ed il 2002. La scala va dal grigio per indicare un solo fulmine l’anno, al rosso scuro (quasi nero) per le regioni a maggiore intensità. Credits: Nasa

Cosa succede allora nel lago Maracaibo?

Nel Maracaibo c’è però qualcosa di più: il lago venezuelano è infatti molto esteso e circondato per tre lati dai monti, lasciando una piccola finestra libera verso il Golfo del Venezuela. Il mar dei Caraibi fornisce una sorgente continua di acqua calda, mentre il caldo sole tropicale scalda l’acqua stessa del lago, facendola evaporare. Dopo il tramonto i monti circostanti si raffreddano molto più rapidamente dell’acqua portando alla formazione di cumulonembi da cui si originano le tempeste. Questo fenomeno prende il nome di Fulmini del Catatumbo, perché la maggior parte dei fenomeni di fulminazione si concentrano alla foce di questo fiume, che sfocia proprio nel lago Maracaibo.

Il lago Maracaibo immortalato dallo Space Shuttle Challenger. Credits: Nasa

Fonti generali: Dwyer & Uman, 2014, Principle of Lightning Physics

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