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I Fulmini sugli altri pianeti del Sistema Solare

Per quanto la fisica dei fulmini sia complessa, i presupposti che ne consentono la formazione sono semplici e forse comuni anche in altri pianeti del Sistema Solare, come Giove e Venere. Per esserne sicuri, bisogna però osservare le tracce che i fulmini lasciano trasparire da remoto, così da osservarli con le sonde spaziali.

Alla fine degli anni ’70, le due sonde Voyager partirono alla volta dei giganti gassosi e ghiacciati, messaggeri terrestri nel sistema solare esterno. Quando la Voyager 1 compì il suo flyby del gigante per eccellezza, il pianeta Giove, osservò dei segnali inaspettati nell’atmosfera gioviana. Erano i primi fulmini osservati in un pianeta diverso dalla Terra, i primi fulmini extraterrestri. Si può dire che in quel momento nacque la fulminologia planetaria, lo studio dei fenomeni di scarica elettrica negli altri pianeti.

Per essere sicuri che i fulmini cadano anche su altri pianeti, c’è una sola strada: osservarli, oppure osservare le tracce che arrivano a distanza lontana, dove si trovano le sonde spaziale che studiano i pianeti. La fisica dei fulmini (affrontata in questo approfondimento) segue gli stessi processi base anche altrove nel Sistema Solare, ma si possono presentare in maniera diversa a seconda dei contesti planetari in cui avvengono.

Quali tracce dei fulmini cercare su altri pianeti

Sulla Terra, durante la loro caduta, i fulmini emettono impulsi di luce alle frequenze visibili, ai raggi X, gamma e alle frequenze radio, oltre a emissioni magnetiche e a quelle acustiche (i tuoni). Per rilevare queste ultime, i suoni e le emissioni magnetiche, occorrerebbe tuttavia trovarsi in loco. Per ascoltare un suono infatti è necessario misurare una variazione di pressione dell’aria, l’onda acustica, che si può misurare solamente trovandosi immersi in quell’aria. Per misurare le variazioni al campo magnetico bisogna trovarsi immersi nel campo magnetico, nei pressi del fulmine. Da remoto quindi possiamo osservare solo le emissioni luminose, visibili e non, e sono pertanto questi lampi di luce che devono essere cercati per studiare i fulmini nel sistema solare.

Perché i fulmini emettono luce e onde radio?

I fulmini emettono una significativa parte della loro radiazione alle frequenze radio, tra 1 Hz e i 300 MHz, con un picco tra i 5 e i 10 kHz. La ragione è la stessa per cui emettono radiazione visibile, luce: il flusso di elettroni della scarica attraversa l’aria, scaldandola e rendendola plasma. Il plasma, già di per sé in quanto caldo emette energia sotto forma di luce. Ma c’è di più: le particelle di aria, scaldandosi, si ionizzano (ossia perdono elettroni), diventando cariche elettricamente. Quando tornano al loro stato neutro, rilasciano l’energia che avevano accumulato sotto forma di energia luminosa. Questa energia luminosa può essere sia alle frequenze radio che a quelle visibili e ultraviolette e, se non ci sono processi che assorbono la radiazione prima di dirigersi verso la sonda o il satellite, i segnali possono essere osservati.

I fulmini emettono anche radiazione più energetica

Si tratta di una scoperta degli ultimi decenni: all’interno delle tempeste sono stati osservati dei flash gamma (Terrestrial Gamma-ray Flashes), piccole ma intense emissioni di raggi gamma legate in qualche modo ai fulmini. Possono essere così intense da interferire con gli strumenti che studiano i raggi gamma dai satelliti. Inoltre, viaggiando attraverso l’atmosfera, i raggi gamma accelerano elettroni e positroni, lanciandoli nella magnetosfera (Terrestrial Electron Beams). C’è poi anche un bagliore gamma che può durare per interi minuti e che viene rilevato dagli strumenti a bordo di aerei e palloni atmosferici. I raggi X sono invece emessi da tutti i tipi di fulmine: scariche pilota, colpi di ritorno e dart leader, soprattutto quando compiono i gradini durante la propagazione.

Perché i fulmini emettono raggi X e gamma?

La verità è che ci sono molte ipotesi, ma non sappiamo con precisione come avvenga l’emissione delle radiazioni più energetiche. Sappiamo che proprio in quanto molto energetiche, non possono essere emesse dalla semplice scarica elettrica in aria che dà origine al fulmine stesso, così come avviene per la luce visibile e per le onde radio. Neanche la parte più intensa del processo di fulminazione, il colpo di ritorno che raggiunge i 30mila gradi centigradi, è abbastanza intenso da produrre i raggi X (e quindi tantomeno i gamma, che sono ancora più energetici). Per cui ci devono essere altri processi in atto.

Una delle ipotesi più accreditate riguarda l’emissione (bremstrahlung) legata agli elettroni dell’aria che vengono accelerati dai campi elettrici dei fulmini fino a velocità relativistiche (confrontabili con quella della luce). Questi elettroni accelerati urterebbero contro altre particelle dell’aria, strappandogli elettroni e generando, a cascata, l’emissione energetica. Questo fenomeno coinvolgerebbe quindi i fulmini in tutti i momenti della loro esistenza, dalla produzione fino al contatto con il terreno. Ma siamo nel regno delle ipotesi: nonostante il secolo e oltre di studi sui fulmini, sono ancora molti i dubbi che riguardano la loro natura fisica e l’emissione di radiazioni energetiche è tra i principali quesiti che per ora non hanno una risposta che si possa considerare definitiva.

I fulmini su Giove

Come detto, i primi fulmini extraterrestri sono stati osservati dalla sonda Voyager 1 nell’atmosfera di Giove. La Voyager ne trovò i segnali radio, molto diversi in frequenza da quelli terrestri. Le sonde Galileo e la Cassini (durante il suo flyby di Giove) osservarono altri segnali radio da fulminazione, ma gli strumenti di queste due missioni non erano adatti per studiarli nel dettaglio. La svolta c’è stata con Juno: la sonda che dal 2016 studia il Sistema Gioviano è equipaggiata con uno strumento radio (il Microwave Radiometer Instrument) che solo nelle sue prime otto orbite ha osservato 377 scariche.

Un’illustrazione che rappresenta le scariche di fulmini, basata sui dati di Juno. Credits: Nasa

Con le (poche) informazioni che abbiamo, sembrerebbe che il meccanismo base della fulminazione sia lo stesso sulla Terra e su Giove. Ma ci sono delle differenze: le frequenze radio emesse sono diverse da quelle dei fulmini terrestri, e inoltre su Giove i fulmini cadono perlopiù nell’emisfero Nord (invece che all’Equatore, come avviene sulla Terra). La verità è che non sappiamo perché i fulmini gioviani non cadano sull’equatore, probabilmente si tratta di qualcosa che dipende dai diversi meccanismi che guidano la circolazione atmosferica su Giove e sulla Terra. Sulla Terra la superficie, con la sua topografia e i suoi cicli termici, gioca un ruolo importante, su Giove una superficie non c’è e la meteorologia sembra legata perlopiù alla dinamica interna o all’interazione tra l’atmosfera e il campo magnetico.

La questione si complica se pensiamo che su Giove sembrano esserci diverse tipologie di fulmini. Alcuni si originano nelle nubi d’acqua nella profondità dell’atmosfera gioviana. Ma ce ne sono anche altri che avvengono più in superficie, nell’alta atmosfera. Nell’alta atmosfera ci possono essere cristalli di ghiaccio d’ammoniaca e acqua (le cosiddette mushball, palle di poltiglia), che potrebbero in qualche modo essere legati a questa tipologia di fulmini, svolgendo un ruolo simile a quello della grandine sulla Terra.

Un’illustrazione dei fulmini superficiali basata sui dati di Juno. Credits: Nasa

E sugli altri pianeti giganti, ci sono fulmini?

Nel 2013, una grande tempesta su Saturno, la più intensa mai osservata nel Sistema Solare, portò a rilevare le emissioni radio emesse dai fulmini anche da Terra. Anche su Saturno i fulmini furono rilevati per la prima volta dalla sonda Voyager 1 nel 1980. La Voyager 1 osservò unicamente le emissioni radio legate a questi fulmini, i bagliori visibili furono osservati effettivamente solo dalla missione Cassini a partire dalla fine degli anni ’90. La prima osservazione ottica di fulmini da parte di Cassini avvenne nel 2009, quando Saturno si trovava vicino all’equinozio di primavera.

Un fulmine su Saturno osservato dalla sonda Cassini. Credits: Nasa/Esa

Si pensa che i fulmini saturniani si formino nel livello di nubi d’acqua che si trova oltre i 100 chilometri di profondità, dove le condizioni ambientali sono adatte per avere una formazione dei fulmini in modalità simili a quella terrestre. Per quanto poi i segnali radio emessi da questi fulmini possono essere anche 10mila volte più intensi di quelli terrestri. Un aspetto interessante è che, al contrario di quelle gioviane, le tempeste di fulmini su Saturno non sono continuative: si presentano ogni tanto ma possono durare anche per mesi. Nel dicembre 2010, la sonda Cassini ha osservato un’intensa tempesta di fulmini nell’emisfero nord di Saturno, associata alla tempesta nota come “Grande Macchia Bianca”, che appare ogni anno saturniano attorno ai 35° di latitudine.

Una Grande Macchia Bianca su Saturno, osservata nel 1994 da Hubble Space Telescope. Credits: Esa/Nasa

Durante il flyby di Urano la Voyager 2, l’unica sonda che abbia visitato Urano nella storia, ha osservato emissioni radio molto simili a quelle osservate dalla Voyager 1 su Saturno. Probabilmente tracce di fulmini, ma non ne abbiamo osservati a frequenze visibili. Su Nettuno non si sa con esattezza: mentre su Urano si osservarono le emissioni di circa 140 eventi di scarica, sul suo gemello la Voyager 2 ne osservò solo 5. Un numero troppo piccolo per poter affermare alcunché dal punto di vista scientifico: potrebbero essere errori di misura o essere legati ad altri fenomeni.

I fulmini sui pianeti rocciosi del Sistema Solare (Terra a parte)

Per avere fulmini atmosferici serve innanzitutto un’atmosfera, qualcosa che non si trova ovunque nel Sistema Solare. Questo esclude tutti i corpi che ne sono privi, come la Luna, gli asteroidi o Mercurio, e quelli che ne hanno troppo poca, come per esempio Plutone. Ma restano vari corpi rocciosi dotati di un’atmosfera che, almeno potenzialmente, potrebbe ospitare fulmini.

Plutone dalla sonda New Horizons. Credits: Nasa

Titano, luna di Saturno, ha una bella atmosfera, ma le sue nubi sono costituite perlopiù da metano, che non è un buon conduttore e quindi meno capace di produrre fulmini. Né Cassini né il lander Huygens hanno osservato fulmini su Titano. Su Marte l’atmosfera è molto debole e diradata, forse troppo per poter originare fulmini. Non sono mai stati osservati, ma non è escluso che l’attrito durante le tempeste di polvere possa generare le cariche necessarie alla produzione di fulmini in maniera del tutto simile a ciò che avviene durante le eruzioni vulcaniche terrestri. Discorso simile si può fare anche per Io, luna di Giove, un mondo dominato dalle eruzioni vulcaniche.

E su Venere?

Venere merita un discorso a parte: ha l’atmosfera più densa tra quelle dei pianeti rocciosi, quindi sembra lecito aspettarsi fenomeni di fulminazione. Eppure la presenza di fulmini su Venere resta dubbia. All’inizio dell’era spaziale, le missioni sovietiche Venera e la Pioneer Venus Orbiter hanno osservato emissioni radio da Venere che, forse, potrebbero essere associate a fulmini. La sonda Venus Express ha osservato e monitorato i cosiddetti whistlers (fischi), dei segnali radio dalla durata di 100 millisecondi che per proprietà e frequenza ricordano i fulmini terrestri. Tuttavia il problema è che non ne abbiamo visto neanche uno in maniera chiara e neanche la Akatsuki giapponese, che si trova in orbita attorno a Venere dal 2015, ne ha trovato alcuna traccia visibile. Potrebbero essere un fenomeno raro e localizzato, oppure i fulmini su Venere potrebbero non formarsi affatto. Forse potremmo imparare qualcosa in più a riguardo con le prossime missioni venusiane in partenza.

Venere dalla sonda giapponese Akatsuki. Credits: Jaxa

Fonti: Principles of Lightning Physics, EOS, Nasa, NOAA

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