Planetologia

La fine di Kepler: qual è il lascito del cacciatore di esopianeti?

Dopo 9 anni a caccia di pianeti extrasolari, la missione Kepler è giunta definitivamente a compimento: finito il carburante, l’osservatorio, che già stava vivendo una sua seconda vita dopo il passaggio alla missione K2, non sarà infatti più in grado di compiere le sue osservazioni. Il modo migliore di commemorare una missione scientifica è senz’altro quello di parlare dei risultati che grazie ad essa siamo riusciti ad ottenere.

Come funziona il metodo dei transiti

Cosa succede durante un’eclissi solare? La Luna passa tra noi ed il Sole, impedendo alla sua luce di arrivare sulla Terra. Se guardassimo un grafico della luminosità solare in funzione del tempo osserveremmo quindi una luminosità costante che durante l’eclissi si riduce moltissimo e poi torna al suo valore costante. Se già non lo sapessimo, dal fatto che nel grafico la luminosità solare si riduce quasi del tutto potremmo ricavare l’informazione che la Luna ha dimensioni apparenti molto simili a quelle del Sole.

E più o meno questo quello che si fa per rilevare la presenza di pianeti extrasolari con il metodo dei transiti. Si osserva la seppur piccola riduzione di luminosità causata dal passaggio di un pianeta davanti ad una stella e da questa si deriva la dimensione del pianeta. Il fatto che la riduzione di luminosità sia periodica ci dà la conferma del fatto che sia legata alla presenza di un pianeta che ripete la sua orbita e non a variazioni non periodiche di altra natura (macchie solari ad esempio) ed oltre a ciò ci dà informazioni riguardo la distanza dei pianeti dalla propria stella. Più un pianeta orbita vicino alla propria stella più l’orbita sarà breve. Se il pianeta è poi provvisto di atmosfera, è anche possibile ricavare informazioni sulla sua atmosfera grazie alla piccola quantità di luce che passa attraverso di essa.

Ci sono delle limitazioni a questo metodo:

  1. I piani orbitali dei pianeti devono necessariamente trovarsi sulla linea di vista. I pianeti che infatti orbitano su altri piani orbitali non eclissano la stella e quindi non si osserva alcuna riduzione di luminosità;
  2. Si trovano più facilmente pianeti grandi e con brevi periodi. Questi pianeti infatti eclissano maggiormente e con più frequenza le stelle, permettendo di accorgersi più facilmente della loro presenza;
  3. Non è possibile ricavare informazioni su massa o densità dei pianeti, per i quali sarà necessario l’utilizzo di altri metodi.

Kepler e K2

Nonostante già Newton avesse formulato l’ipotesi dell’esistenza di pianeti orbitanti attorno ad altre stelle, la prima conferma sperimentale di un esopianeta risale al 1995, anno in cui fu confermata la presenza di un pianeta orbitante attorno alla stella 51 Pegasi. La ricerca di pianeti extrasolari ha però preso veramente il via da quanto Kepler, nell’ormai lontano 2009, è diventato operativo nella sua ricerca di piccole variazioni di luminosità delle stelle.

La missione Kepler aveva un obiettivo specifico: osservare a lungo una regione precisa di cielo, monitorando costantemente centinaia di migliaia di stelle alla ricerca di riduzioni di luminosità, scovando così la presenza di potenziali pianeti extrasolari e potendo poi valutare se si trattava di falsi positivi o di eclissi ripetute, e quindi con ogni probabilità di pianeti. Dall’analisi di quei pianeti così scovati, si era poi in grado di caratterizzare le principali proprietà, come le dimensioni o la presenza di atmosfera.

La regione da osservare continuativamente doveva contenere molte stelle e non dovevano esserci passaggi di altri oggetti lungo la traiettoria (come sarebbe avvenuto guardando nella direzione dell’eclittica, dove si trovano quasi tutti gli oggetti del Sistema Solare): venne perciò scelta una regione che rispettava entrambi questi requisiti, quella nel Cigno-Lira.

Campo di vista di Kepler. I rettangoli indicano le proiezioni dei sensori della strumentazione. Credits: NASA

Nel 2013, dopo 4 anni di osservazioni, si ruppero due ruote di reazione (dispositivi che servono a mantenere il puntamento nel cielo). Per un anno Kepler rimase inattivo fino a quando nel maggio 2014 si diede inizio alla missione K2 sfruttando la pressione di radiazione (la forza dovuta all’urto dei fotoni contro il telescopio) per mantenere il controllo sul puntamento. A questo punto non era più possibile tuttavia osservare sempre la regione del Cigno-Lira, e fu necessario perciò accontentarsi di un campo di vista variabile. Durante la missione K2, Kepler non poteva più analizzare completamente gli esopianeti, ma poteva trovarne i potenziali candidati che poi dovevano essere analizzati da Terra con l’ausilio di altri telescopi e strumenti.

Il 30 ottobre 2018, la NASA ha annunciato la fine anche della missione K2 per esaurimento del carburante necessario a svolgere le operazioni di controllo della sonda.

I risultati della missione ad oggi

Sull’archivio di esopianeti della NASA, possiamo facilmente individuare quale sia il merito delle missioni Kepler e K2: Kepler ha scoperto ben 2327 esopianeti, e K2 ne ha scoperti 354, mentre il numero totale di esopianeti noti è 3826. Quindi circa 3 pianeti extrasolari su 4 sono stati scovati con il metodo dei transiti grazie alla missione Kepler. E non è finita qui, perché oltre agli esopianeti già confermati, ne esistono altrettanti (2426 per Kepler e 473 per K2) ancora classificati come “candidati” e quindi da confermare con ulteriori osservazioni da Terra.

Questi numeri permettono di estrarre alcune semplici conclusioni generali sui sistemi planetari:

  • I pianeti sono numerosissimi, molti di più delle stelle nella nostra galassia.
  • Moltissimi di questi pianeti sono piccoli, probabilmente simili alla Terra in quanto a dimensioni e distanza dalla propria stella: circa 360 dei 4770 pianeti candidati di Kepler sono classificati come pianeti terrestri nella fascia abitabile del proprio sistema stellare, ma bisogna anche considerare che per le ragioni sopra descritte, i pianeti giganti sono in sovranumero nelle statistiche perché più facili da trovare.
  • Esiste una grande varietà di pianeti, anche molto diversi da quelli da quelli cui siamo abituati. La maggior parte dei pianeti trovati da Kepler sono infatti di dimensioni comprese tra quelle della Terra e quella di Nettuno.
  • Esistono molti sistemi compatti, in cui i pianeti orbitano molto più vicini alla propria stella. Capire come si possano essere formati sistemi di questo tipo, è una delle sfide per gli studiosi di formazione planetaria nel prossimo futuro (Leggi: L’Origine del Sistema Solare).

Monitorare per anni le stesse stelle ha inoltre fornito anche moltissimi preziosissimi dati che hanno molte potenzialità per lo studio delle dinamiche stellari e delle supernovae.

Finito Kepler, finita la ricerca di esopianeti? No: un esempio è il Transiting Exoplanet Survey Satellite (TESS), lanciato proprio quest’anno, che osserverà per due anni le stelle più vicine alla Terra proprio con l’obiettivo di scovare i pianeti extrasolari tramite la tecnica dei transiti. Lo stesso James Webb Space Telescope ha tra gli obiettivi anche lo studio delle caratteristiche dei pianeti extrasolari noti, e tornando sulla Terra sono moltissimi gli osservatori impegnati, tra le altre cose, proprio alla loro caratterizzazione.

Fonte: NASA Kepler, Science, NASA Exoplanet Archive

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