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Hayabusa e Hayabusa2, i falchi pellegrini della Jaxa

Hayabusa, il falco pellegrino, è il nome affidato alle due missioni che, proprio come un rapace con le sue prede, hanno catturato alcuni frammenti dalla superficie degli asteroidi Itokawa e Ryugu. Con queste due missioni la Jaxa ha fatto scuola a un’intera generazione di missioni sample-return robotiche di oggi e di domani.

Correva l’anno 2003, la sonda Cassini-Huygens ancora vagava nello spazio interplanetario in attesa di giungere al sistema di Saturno, Mars Express si stava inserendo in orbita attorno a Marte, Rosetta sarebbe partita l’anno successivo alla volta della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko. Era un altro periodo storico per l’esplorazione spaziale, forse gli inizi di un’epoca d’oro che prosegue tutt’ora. Nel maggio dello stesso anno a bordo di un razzo M-V-5 partiva dall’Uchinoura Space Centre la missione Hayabusa, una delle prime interplanetarie della Jaxa e la prima missione nella storia a raccogliere materiale dalla superficie di un asteroide.

Una rappresentazione artistica della sonda Hayabusa. Credits: Jaxa

Hayabusa, una missione sull’orlo del fallimento

L’obiettivo di Hayabusa (はやぶさ) era quello di raggiungere l’asteroide (25143) Itokawa nel 2005, studiarlo da remoto, raccogliere alcuni campioni dalla sua superficie e riportarli a Terra nel 2007. Ma fu una missione piena di problemi, che costrinsero i tecnici della Jaxa a rimandare il rientro al 2010. Poco prima di arrivare a Itokawa, nel luglio 2005, ci fu un malfunzionamento a una delle ruote di reazione, quei dispositivi giroscopici che servono a mantenere il puntamento della sonda nella direzione desiderata. In ottobre, durante la fase di osservazione da remoto dell’asteroide, si perse anche un’altra delle ruote di reazione.

Il campionamento della superficie doveva avvenire in due punti del Muses Sea (Muses-C era il nome della sonda prima del lancio), una regione liscia e regolare della superficie di Itokawa, nel 19 e 25 novembre. La sonda avrebbe dovuto toccare la superficie, lanciare un proiettile per far sollevare il materiale e raccoglierlo in una capsula per il rientro. Ma nel primo tocco il proiettile non partì e il corno dedito a convogliare il materiale nella capsula toccò la superficie senza alcun sollevamento di materiale, nel secondo si persero i contatti con la sonda e non furono ristabiliti prima di 7 settimane. La sonda doveva anche lanciare un piccole rover, Minerva, ma fu lanciato da un’altitudine errata e mancò il bersaglio.

Le comunicazioni con la sonda vennero lentamente ristabilite fino a marzo 2006, ma ormai era tardi per riprendere con la tabella di marcia programmata e il rientro avvenne nel 2010 invece che nel 2007. Durante il viaggio comparvero ulteriori problemi ai motori ionici. Tutto quello che poteva andare storto andò storto insomma, eppure le osservazioni da remoto erano andate a buon fine e le capsule di rientro si erano ugualmente riempite di polvere e sassolini durante il semplice tocco della superficie. Hayabusa, nonostante tutto, fu un successo.

La scia luminosa lasciata dalle capsule di Hayabusa al momento del rientro, in Australia. Credits: Nasa
Hayabusa fu un successo nonostante tutto

Fu un successo anche perché il suo obiettivo non era solo quello di studiare un asteroide, ma anche e soprattutto quello di compiere alcuni test ingegneristici e quelli, anche a causa delle difficoltà, non sono mancati. Con Hayabusa la Jaxa ha testato per la prima volta un sistema propulsivo elettrico, un sistema di navigazione autonoma (essenziale durante le manovre di campionamento), il sistema di campionamento stesso e le tecniche per il rientro delle capsule con i campioni.

Inoltre, per ovviare al problema delle ruote di reazione malfunzionanti, fu sperimentata per la prima volta una tecnica di puntamento che ha sfruttato la pressione di radiazione solare, ossia la spinta generata dall’arrivo di fotoni dal Sole, come un elemento per stabilizzare il puntamento al posto della ruota. La stessa tecnica venne utilizzata poi anche in altre occasioni, per esempio per salvare il telescopio Kepler, il cacciatore di pianeti extrasolari, dando il via alla missione K2.

La superficie dell’asteroide Itokawa con l’ombra della sonda Hayabusa. Credits: Jaxa
La strumentazione di Hayabusa

Come detto, Hayabusa aveva come obiettivo principale i vari test ingegneristici e lo sviluppo della tecnologia di sample-return asteroidale, ma non per questo non si è approfittato della situazione per compiere osservazioni da remoto della superficie. In particolare, erano 4, oltre allo sfortunato rover Minerva, gli strumenti che Hayabusa aveva a disposizione:

  • Lidar era un altimetro laser del tipo di quelli che si usano anche sulla Terra. Su Itokawa era usato per misurare la distanza della sonda dalla superficie, per studiare la forma e l’irregolarità della superficie. Lo strumento generava brevi impulsi laser e, una volta rimbalzato sulla superficie, riceveva il segnale di risposta;
  • Amica era invece la camera che ci ha permesso di ottenere le molte immagini della superficie di Itokawa. Con essa era possibile sia compiere le varie analisi che vengono eseguite sfruttando l’occhio, sia mappare la superficie, che programmare la navigazione della sonda, per esempio per la scelta dei punti di atterraggio per il campionamento;
  • Xrs era uno spettrometro a fluorescenza che aveva l’obiettivo di determinare la composizione chimica di Itokawa attraverso lo studio delle emissioni della superficie colpita dai raggi X solari: quando i raggi X colpiscono gli elementi delle rocce superficiali, questi emettono raggi X fluorescenti se l’energia di quelli solari è maggiore di quella che gli elementi possono assorbire
  • Nirs era invece un classico spettrometro infrarosso per studiare le proprietà ottiche e la composizione mineralogica della superficie di Itokawa. Era studiato in particolare per studiare i silicati, i tipi di minerali più comuni in questo tipo di oggetti
L’asteroide Itokawa immortalato da 8 chilometri di distanza da Amica, la camera di Hayabusa. Credits: Jaxa
Itokawa: l’asteroide di Hayabusa

(25143) 1998 SF36 è stato scoperto il 26 settembre 1998 tramite il programma Linear (Lincoln Near-Earth Asteroid Research) e poi rinominato Itokawa (糸川) in commemorazione di Hideo Itokawa, uno dei pionieri del programma spaziale giapponese. Itokawa è un asteroide del gruppo Apollo, ossia uno di quegli asteroidi near-Earth che hanno il perielio all’interno dell’orbita terrestre e il semiasse maggiore dell’ellisse che descrive la loro orbita maggiore di quello terrestre, ossia di una unità astronomica.

Itokawa è un asteroide piccolo, in cui tutte le dimensioni sono minori di mezzo chilometro e ruota su sé stesso in appena 12 ore in direzione retrograda (ossia opposta al suo verso di rivoluzione) attorno a un asse perpendicolare all’eclittica. Già dalle osservazioni da Terra, Itokawa apparve come un possibile progenitore delle meteoriti più comuni, le condriti ordinarie, con leggere differenze ottiche dovute allo space weathering. Per la tassonomia asteroidale, Itokawa è un asteroide di tipo S, ossia dalle caratteristiche rocciose (Stony) e ricco di silicati, i minerali più comuni nelle rocce planetarie (circa il 17% degli asteroidi noti e classificati appartiene a questa classe).

La lontra, i massi, i due lobi: le scoperte di Hayabusa

Nonostante il suo essere un asteroide del tutto comune, agli occhi della camera di Hayabusa, Itokawa riservò molte sorprese. La prima cosa che stupì fu la sua forma a due lobi uniti tra loro, una forma che usando un po’ di fantasia ricorda una lontra (Enhydra lutris), tanto che anche negli studi scientifici pubblicati si trovano le regioni di Itokawa indicate come testa, collo e corpo.

Alcune delle principali regioni di Itokawa. Credits: Jaxa

Il secondo aspetto a stupire fu la sua massa, relativamente bassa per il suo per quanto piccolo volume, qualcosa che ci si aspetta da un corpo molto poroso e ricco di spazi vuoti. Itokawa fa infatti parte di una classe di oggetti noti come rubble-pile, che in italiano suona come “cumulo di detriti”, un insieme di frammenti di roccia tenuti insieme dalla gravità del sistema, non abbastanza forte da formare un corpo compatto. Questa caratteristica si manifesta anche con la presenza di numerosissimi massi, rocce più grandi di 1 metro appoggiate ma non radicate nella superficie, come Yoshinodai, un masso di 35 metri di diametro (circa 1 decimo dell’intero asteroide), adagiato sull’estremità del corpo della lontra.

Alcune zone della superficie appaiono poi sfaccettate, come se fossero state bombardate da impatti meteorici. Ma il riconoscimento dei crateri è stato un’impresa notevole vista la difficoltà di distinguerli facendosi strada tra massi e irregolarità. Il numero totale di crateri riconosciuti è comunque molto piccolo, inferiore a 100, e mancano completamente crateri piccoli probabilmente a causa di alcuni fenomeni legati alla dinamica degli impatti (seismic shaking e self-armouring) e alla scarsità di frammenti piccoli nella Fascia Principale di Asteroidi, dove vengono rimossi a causa dell’effetto Yarkovsky.

Come Itokawa si è formato

Si assume che Itokawa si sia formato nella Fascia Principale di Asteroidi, così come la maggior parte degli asteroidi near-Earth che conosciamo e che sia poi stato portato, tramite effetto Yarkovsky, in una regione di risonanza con Giove. Una volta lì, la gravità del gigante avrebbe lanciato Itokawa verso il Sistema Solare interno facendolo diventare un asteroide near-Earth. Stando al numero di crateri osservato, Itokawa avrebbe passato alcune centinaia di milioni di anni nella Fascia Principale prima di cadere nella zona di risonanza.

Un possibile schema della formazione di Itokawa. Credits: Tohoku University

Ci sono alcuni possibili scenari che avrebbero potuto portare alla formazione di un corpo a due lobi come Itokawa. Il primo è che il corpo e la testa fossero due corpi separati e che solo in un secondo momento, orbitando vicini a bassa velocità, avrebbero potuto unirsi a formare un unico corpo. Il secondo è che si sia formato a partire da un unico corpo progenitori, distrutto da un impatto e poi ricompattato a formare la nostra lontra asteroidale. Il terzo prevede invece che il corpo sia sempre stato uno solo, e che un impatto lo abbia deformato “schiacciando” la regione del collo.

Cosa abbiamo imparato di Itokawa grazie ai campioni di Hayabusa

I due campionamenti di Hayabusa sono avvenuti nella regione nota come Muses Sea, scelta in quanto possiede uno dei rari terreni lisci e privi di massi della superficie di Itokawa, rendendo quindi più sicura la discesa per la sonda. Come detto, il malfunzionamento del meccanismo di campionamento ha portato a raccogliere solo pochi milligrammi di grani di superficie, suddivisi in migliaia di piccoli frammenti. Pur nella sfortuna, c’è quindi comunque stato del materiale da analizzare in laboratorio che ha potuto restituire interessanti risultati.

Alcuni dei campioni di Itokawa prelevati da Hayabusa. Credits: Jaxa

Innanzitutto attraverso l’analisi dei campioni è stata confermata il possibile ruolo di Itokawa come corpo progenitore delle condriti ordinarie (in particolare di quelle LL4, LL5 o LL6). E questo, vedendola dal punto di vista complementare, è stato una conferma del fatto che le condriti ordinarie provengano dagli asteroidi di tipo S. Nei grani di Hayabusa sono presenti nanofasi di ferro in misura maggiore o minore a seconda della composizione mineralogica. Qualcosa che ci si aspetta come conseguenza dello space weathering, l’erosione spaziale che abbiamo scoperto con le rocce lunari e che grazie a Hayabusa abbiamo confermato avvenire anche sugli asteroidi di tipo S.

 Northwest Africa 778, una condrite ordinaria LL6. Credits: Meteorite Recon/Wikimedia CC

I grani inoltre erano ricchi di gas nobili come l’elio, il neon e l’argon, trasportati dai venti solari in una quantità che lascia pensare a un’esposizione dei campioni raccolti per un tempo di 8 milioni di anni, un aspetto che ha portato a confermare le stime sull’età di Itokawa entro il miliardo di anni. Anche i rapporti degli isotopi radioattivi portano a calcolare un’età simile per vari grani, attorno al miliardo e 300 milioni di anni. Quest’età è però da considerarsi come il tempo di formazione del rubble-pile ossia quello in cui un impatto catastrofico può aver riavviato gli orologi isotopici. D’altra parte altri grani hanno portato a età molto più simili a quelle di altre condriti ordinarie, attorno ai 4 miliardi di anni, lasciando pensare che a seconda del grano analizzato si abbia una storia evolutiva diversa, proprio come ci si può aspettare per un rubble-pile in cui non necessariamente l’evoluzione è comune a tutti i frammenti.

Una rappresentazione artistica di Hayabusa2. Credits: Jaxa

Hayabusa2, quando l’allievo supera il maestro

Hayabusa2 è l’erede di Hayabusa, ne ha raccolto il progetto di sample-return asteroidale rafforzando i punti deboli della missione che la ha preceduta. Partita il 3 dicembre 2014 dal Tanegashima Space Center, Hayabusa2 è arrivata nei pressi del suo obiettivo, l’asteroide (162173) Ryugu, nel giugno 2018 e a fine 2020 ha riportato a Terra le capsule con i campioni della sua superficie. La missione non è comunque ancora terminata: è stata infatti estesa fino al 2031, quando dovrebbe incontrarsi con un altro asteroide per ora dal nome provvisorio di 1998 KY26 dopo aver incontrato anche (98943) 2001 CC21 nel 2026.

Inutile dire che Hayabusa2 sia andata molto meglio di Hayabusa: ha funzionato tutto come previsto, la sonda è arrivata nei pressi di Ryugu, ne ha mappato e studiato la superficie con la strumentazione scientifica a bordo, ha campionato la regolite nei tempi e nei luoghi stabiliti dal team di missione e ha riportato i campioni a Terra secondo la tabella di marcia.

La strumentazione a bordo di Hayabusa2

Hayabusa2 è una missione più completa di Hayabusa anche dal punto di vista degli obiettivi scientifici. Ha infatti a disposizione una grande di varietà di strumenti differenti:

  • Lidar, proprio come Hayabusa, un altimetro laser per lo studio della forma dell’asteroide e per la navigazione
  • Nirs3, uno spettrografo infrarosso per lo studio della composizione mineralogica della superficie
  • Tir è una camera infrarossa che lavora a frequenze diverse rispetto a Nirs3 pensata per lo studio delle temperature superficiali
  • Onc-T, Onc-W1 e Onc-W2 sono tre camere per la navigazione ottica e per ottenere immagini della superficie asteroidale
La strumentazione di Hayabusa2. Credits: Jaxa

Durante la fase di campionamento si sono usati anche due Laser Range Finders, necessari per mantenere il controllo della posizione della sonda rispetto al terreno, e un terzo laser per monitorare invece il corno di campionamento. C’era anche Sci, un piccolo proiettile per lo studio dei meccanismi d’impatto sulla superficie e una camera separata dalla sonda insieme al proiettile per osservarne l’impatto.

Per ultimo, ma non per importanza, Hayabusa2 ha lanciato quattro rover, Mascot, Hibou, Owl e Minerva-II-2. Sono stati i primi rover nella storia ad aver toccato la superficie di un asteroide.

Ryugu: l’asteroide di Hayabusa2

Ryūgū-jō (竜宮城, 龍宮城) è il palazzo della fortezza del drago, il palazzo sottomarino del kami dalle sembianze di drago Ryūgin, dal quale in un racconto un pescatore porta via un tesoro. Questo è il nome da cui deriva (162173) Ryugu affidato a 1999 JU3, asteroide scoperto nel 1999 dal programma Linear.

Le immagini di Ryugu ottenute durante la fase di avvicinamento di Hayabusa2. Credits: Jaxa

Anche Ryugu è un asteroide near-Earth del gruppo Apollo ma, a differenza di Itokawa, non è un asteroide di tipo S, ma fa parte di un raro sottogruppo degli asteroidi di tipo C, considerati i progenitori delle meteoriti condriti carbonacee, che annoverano anche oggetti celebri come (1) Cerere e (2) Pallas. I tipi C sono asteroidi molto comuni, a cui appartengono 3 asteroidi su 4, e sono asteroidi molto scuri e ricchi di carbonio e minerali idrati (che hanno interagito con l’acqua).

Come si è evoluto Ryugu

Fin dalle prime immagini di Hayabusa2 Ryugu è apparso con la forma di un tozzo diamante di circa 1 chilometro di diametro, vagamente sferoidale ma con una cresta che corre lungo l’equatore (la Ryugin Dorsum) legata probabilmente proprio alla maggiore forza centrifuga sul piano equatoriale, sul quale l’asteroide ruota con un moto retrogrado. Proprio come Itokawa, anche Ryugu è un rubble-pile, un insieme di massi e regolite tenuto insieme dalla gravità, ma pieno di buchi e di pori: circa la metà dello spazio interno di Ryugu è vuoto e sulla superficie ci sono oltre 4mila massi più grandi di 5 metri.

Ryugu in rotazione ottenuto dalle immagini di Hayabusa2. Credits: Jaxa

In maniera simile a Itokawa e alla maggior parte degli asteroidi near-Earth, anche Ryugu si è probabilmente formato nella Fascia Principale di Asteroidi ed è stato spinto verso l’attuale orbita dopo essere finito in una delle regioni di risonanza orbitale a causa dell’effetto Yarkovsky. In questo caso, però, siccome si pensa che Ryugu sia nato nella Fascia di Asteroidi interna, la risonanza colpevole è probabilmente quella situata a 2 unità astronomiche e legata al moto di Saturno.

Si pensa che Ryugu sia nato a partire da una collisione asteroidale di un corpo precedente, con i frammenti poi riuniti dalla gravità a formare il rubble-pile, ma sarà l’analisi dei frammenti riportati a Terra da Hayabusa a dirci qualcosa in più sulle modalità e sull’età della sua origine.

Il successo dei primi rover su asteroidi

Erano 4 i rover che Hayabusa2 ha portato sulla superficie di Ryugu. Più che di rover sarebbe giusto parlare di hopper, perché compivano dei piccoli salti non potendo usare ruote in una condizione di microgravità come quella che si trova sugli asteroidi.

Hibou e Owl, che insieme costituiscono Minerva-II-1, sono stati i primi a essere rilasciati, nel settembre 2018, entrando nella storia come prime sonde robotiche ad atterrare sulla superficie di un asteroide. Erano due piccole rover gemelli dotati di camere e termometri che per circa un mese terrestre (per Hibou, Owl durò solo 3 giorni) mandarono dati e immagini dalla superficie di Ryugu. Minerva-II.2 invece ebbe un malfunzionamento prima di essere rilasciato, unica pecca nella missione Hayabusa2.

La prima immagine ottenuta da una superficie asteroidale grazie a Hibou, il primo rover sganciato da Hayabusa2. Credits: Jaxa

Pochi giorni dopo, il 3 ottobre dello stesso anno, seguì Mascot, un piccolo rover franco-tedesco dotato di camere e spettrometri per studiare nel dettaglio la superficie di Ryugu e la sua regolite ha lavorato assiduamente per 16 ore prima di spegnersi per mancanza di energia. Un risultato interessante di Mascot è l’aver scoperto che i massi di Ryugu sono molto porosi, abbastanza da giustificare il fatto che sulla Terra sono ben poche le meteoriti associate a questo tipo di oggetti: sono molto fragili e si distruggono durante la caduta.

Una delle tante immagini della superficie di Ryugu inviate dai rover di Hayabusa2. Credits: Jaxa
Il successo del campionamento di Hayabusa2

Hayabusa2 avrebbe dovuto raccogliere 3 campioni diversi: uno da materiali alterati dall’acqua, uno privi di questa alterazione e un altro dal materiale sotterraneo. Dei primi due ne fu fatto solo uno: era stato raccolto molto materiale e fare il secondo campionamento fu valutato un rischio evitabile. Il terzo, quello del materiale sotterraneo, invece fu fatto in corrispondenza del cratere artificiale generato dall’esperimento Sci.

Il campionamento, avvenuto nel 2019 dopo una travagliata selezione dei luoghi migliori per farlo, era basato sulla stessa tecnica sperimentata con Hayabusa, solo che nel caso di Hayabusa2 funzionò a dovere. Vicino alla superficie il dispositivo di campionamento ha sparato un piccolo proiettile da 5 grammi di tantalio sull’asteroide, causando un mini-impatto planetario e raccogliendo il materiale schizzato via dalla superficie attraverso un corno.

Un membro del team di Hayabusa2 trasporta la capsula contenente i campioni nel deserto australiano. Credits: Jaxa

I campioni sono entrati nelle capsule, mantenuti separati l’uno dall’altro, e il 5 dicembre 2020 sono arrivati a Terra. L’atterraggio della capsula è avvenuto in Australia, nell’area militare di Woomera. Dopo i primi controlli è stata trasportata all’Extraterrestrial Sample Curation Center della Jaxa, un centro creato appositamente per lo studio di campioni extraterrestri. Ora non resta che analizzarli per scoprire qualche altro tassello fondamentale nella storia del nostro sistema planetario.

I campioni di Hayabusa2 all’interno della capsula di rientro. Credits: Jaxa

Per approfondire: T. Burbine Asteroids, Hayabusa2 mission, The Planetary Society

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